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L'Informatore Agrario
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06
 6 - 12 Feb.

  2004
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POLITICA

Le riduzioni di bilancio pesano sul futuro dell'Ue

Le prospettive finanziarie 2007-2013

Se dovesse avere seguito la proposta di diminuire il contributo che ciascun Paese fornisce al bilancio comunitario potrebbero esserci gravi ripercussioni sulle politiche agricole, a cominciare dallo sviluppo rurale

Il 10 febbraio 2004 è un giorno importante per il destino a medio termine dell’Unione Europea e anche per il futuro della politica agricola e di sviluppo rurale. La Commissione dovrebbe presentare il documento relativo alle  prospettive finanziarie per il settennio 2007-2013, dalle quali poi dipendono le risorse che potranno essere utilizzate e le politiche che saranno adottate per lo sviluppo e il consolidamento dell’Europa che si accinge a diventare di 27 Stati membri nel 2007, con l’ingresso della Romania e della Bulgaria. 
Il dibattito in atto è molto acceso e potrebbe riservare delle inattese sorprese. Un gruppo di 6 Stati membri, che sono contribuenti netti al bilancio comunitario (Francia, Germania, Austria, Regno Unito, Olanda e Svezia), ha ufficialmente chiesto alla Commissione di ridurre dall’1,24 all’1% del prodotto interno lordo il tetto di spesa massima che è consentito. 
L’Esecutivo comunitario ha risposto confermando l’attuale massimale dell’1,24%, affermando che una riduzione all’1% equivarrebbe a un budget complessivo di 124 miliardi di euro nel 2013, il che non sarebbe affatto sufficiente a coprire tutte le esigenze di bilancio e a soddisfare gli stessi impegni che deriverebbero dall’attuazione delle attuali politiche dell’Unione Europea. 
Insomma, con la proposta dei 6 Paesi finanziatori netti del bilancio dell’Unione avremmo un’Europa ripiegata su se stessa che non avrebbe le capacità di andare al di là di quello che oggi viene fatto e non sarebbe in grado di avviare nuovi progetti e nuove politiche tali da assicurare lo sviluppo, la competitività nello scenario mondiale e una maggiore coesione tra i 27 eterogenei Stati membri che la comporranno. 
Tuttavia qualche precisazione è d’obbligo. La proposta dei 6 Stati sopra elencati è finalizzata a congelare all’attuale livello il loro contributo alle casse comunitarie e non a realizzare dei risparmi. Infatti, attualmente, la spesa dell’Unione ammonta in media a circa l’1,08% del pil, consentendo in tal modo delle economie rispetto al tetto massimo dell’1,24%, che di fatto si traducono in minori esborsi da parte degli Stati membri i quali, così, dispongono di più risorse per le esigenze dei bilanci nazionali. 
Nel 2004 il bilancio di previsione indica una spesa effettiva dell’Unione corrispondente allo 0,98% del prodotto interno lordo, quindi con un margine di sicurezza  ancora più elevato rispetto al massimale.  
Con la richiesta di congelare all’1% il tetto della spesa delle istituzioni comunitarie, i 6 Paesi, cui pare se ne siano aggiunti degli altri, tra cui anche l’Italia, si assicurerebbero di non sborsare più risorse rispetto a quanto fanno oggi. 
La Commissione, naturalmente, non è d’accordo perché intende portare avanti dei programmi ambiziosi e sa che la sfida dell’allargamento per essere vinta ha bisogno di poter contare su disponibilità finanziarie adeguate e che l’Europa deve procedere con maggiore decisione verso la realizzazione di politiche comuni rivolte all’innovazione, alla ricerca, alla formazione. 
Come si colloca l’agricoltura in questa importante contesa? Paradossalmente, a rischiare di più non sono le politiche dei prezzi e dei mercati (il primo pilastro della pac), ma quelle legate allo sviluppo rurale (il secondo pilastro). 
Infatti, il Vertice di Bruxelles dell’ottobre 2002, incorporando l’accordo franco-tedesco sull’evoluzione delle spese agricole, ha di fatto sancito il principio del congelamento delle risorse agricole per il primo pilastro al livello fissato da Agenda 2000 per l’anno 2006, prevedendo una crescita limitata all’1% all’anno, per tenere conto dell’effetto dell’inflazione. 
Quindi, non vi dovrebbe essere il rischio di vedere ridimensionato il budget agricolo per gli interventi sul reddito e sui mercati. Tuttavia, l’aspetto critico è che nei prossimi anni vanno affrontati importanti appuntamenti come l’ingresso di Romania e Bulgaria e la riforma di alcune delicate organizzazioni comuni di mercato (ad esempio lo zucchero) facendo riferimento a un plafond già definito che, pare, possa essere adeguato con qualche difficoltà. 
In un contesto caratterizzato da possibile riduzione del massimale di spesa dell’Unione e di budget della pac predefinito, ci potrebbe essere quindi un impatto sulle altre politiche, con particolare riferimento a quelle di sviluppo rurale. In base ad alcune valutazioni che sono state fatte dalla Commissione, nel caso il tetto di spesa dovesse scendere al di sotto dell’1,24%, si avrebbe una disponibilità per le politiche rurali tra il 2007 e il 2013 inferiore a 10 miliardi di euro all’anno che rappresenta, grosso modo, la spesa effettiva che sarà sostenuta nei prossimi tre anni a favore dei 25 Stati membri. 
D’altro canto, è possibile che per mantenere a un livello adeguato gli interventi a favore del mondo rurale, anche tenuto conto delle pressioni che in tal senso esercitano il mondo politico e alcuni Stati membri, si rimetta in discussione il principio della inviolabitilità delle spese agricole del primo pilastro fino al 2013, favorendo un ulteriore trasferimento di risorse tra i due capitoli di spesa.  
In definitiva, lo scenario è molto complesso e deve essere seguito con attenzione, perché potrebbe riservare amare sorprese e richiedere ulteriori sacrifici all’agricoltura, già colpita dalla riforma di medio termine della pac. 
Il 10 febbraio i nodi dovrebbero essere sciolti, per quanto riguarda la posizione della Commissione europea. Poi toccherà ai ministri dell’economia nell’ambito del Consiglio avviare il dibattito sulle prospettive  finanziarie dell’Ue. 
Dalle decisioni che saranno assunte si potrà iniziare a verificare quale sarà il possibile destino della politica dei prezzi e dei mercati, della politica di sviluppo rurale e dei fondi strutturali nell’Europa allargata.

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