POLITICA |
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Le riduzioni di bilancio pesano
sul futuro dell'Ue
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Le prospettive finanziarie
2007-2013
Se dovesse avere seguito la
proposta di diminuire il contributo che ciascun Paese fornisce al bilancio
comunitario potrebbero esserci gravi ripercussioni sulle politiche agricole, a
cominciare dallo sviluppo rurale
Il 10 febbraio 2004 è un
giorno importante per il destino a medio termine dell’Unione Europea e anche
per il futuro della politica agricola e di sviluppo rurale. La Commissione
dovrebbe presentare il documento relativo alle
prospettive finanziarie per il settennio 2007-2013, dalle quali poi
dipendono le risorse che potranno essere utilizzate e le politiche che saranno
adottate per lo sviluppo e il consolidamento dell’Europa che si accinge a
diventare di 27 Stati membri nel 2007, con l’ingresso della Romania e della
Bulgaria.
Il dibattito in atto è molto
acceso e potrebbe riservare delle inattese sorprese. Un gruppo di 6 Stati
membri, che sono contribuenti netti al bilancio comunitario (Francia, Germania,
Austria, Regno Unito, Olanda e Svezia), ha ufficialmente chiesto alla
Commissione di ridurre dall’1,24 all’1% del prodotto interno lordo il tetto di
spesa massima che è consentito.
L’Esecutivo comunitario ha
risposto confermando l’attuale massimale dell’1,24%, affermando che una
riduzione all’1% equivarrebbe a un budget complessivo di 124 miliardi di euro
nel 2013, il che non sarebbe affatto sufficiente a coprire tutte le esigenze di
bilancio e a soddisfare gli stessi impegni che deriverebbero dall’attuazione
delle attuali politiche dell’Unione Europea.
Insomma, con la proposta dei
6 Paesi finanziatori netti del bilancio dell’Unione avremmo un’Europa ripiegata
su se stessa che non avrebbe le capacità di andare al di là di quello che oggi
viene fatto e non sarebbe in grado di avviare nuovi progetti e nuove politiche
tali da assicurare lo sviluppo, la competitività nello scenario mondiale e una
maggiore coesione tra i 27 eterogenei Stati membri che la comporranno.
Tuttavia qualche precisazione
è d’obbligo. La proposta dei 6 Stati sopra elencati è finalizzata a congelare
all’attuale livello il loro contributo alle casse comunitarie e non a
realizzare dei risparmi. Infatti, attualmente, la spesa dell’Unione ammonta in
media a circa l’1,08% del pil, consentendo in tal modo delle economie rispetto
al tetto massimo dell’1,24%, che di fatto si traducono in minori esborsi da
parte degli Stati membri i quali, così, dispongono di più risorse per le
esigenze dei bilanci nazionali.
Nel 2004 il bilancio di
previsione indica una spesa effettiva dell’Unione corrispondente allo 0,98% del
prodotto interno lordo, quindi con un margine di sicurezza ancora più elevato rispetto al
massimale.
Con la richiesta di congelare
all’1% il tetto della spesa delle istituzioni comunitarie, i 6 Paesi, cui pare
se ne siano aggiunti degli altri, tra cui anche l’Italia, si assicurerebbero di
non sborsare più risorse rispetto a quanto fanno oggi.
La Commissione, naturalmente,
non è d’accordo perché intende portare avanti dei programmi ambiziosi e sa che
la sfida dell’allargamento per essere vinta ha bisogno di poter contare su
disponibilità finanziarie adeguate e che l’Europa deve procedere con maggiore
decisione verso la realizzazione di politiche comuni rivolte all’innovazione,
alla ricerca, alla formazione.
Come si colloca l’agricoltura
in questa importante contesa? Paradossalmente, a rischiare di più non sono le
politiche dei prezzi e dei mercati (il primo pilastro della pac), ma quelle
legate allo sviluppo rurale (il secondo pilastro).
Infatti, il Vertice di
Bruxelles dell’ottobre 2002, incorporando l’accordo franco-tedesco
sull’evoluzione delle spese agricole, ha di fatto sancito il principio del
congelamento delle risorse agricole per il primo pilastro al livello fissato da
Agenda 2000 per l’anno 2006, prevedendo una crescita limitata all’1% all’anno,
per tenere conto dell’effetto dell’inflazione.
Quindi, non vi dovrebbe
essere il rischio di vedere ridimensionato il budget agricolo per gli
interventi sul reddito e sui mercati. Tuttavia, l’aspetto critico è che nei
prossimi anni vanno affrontati importanti appuntamenti come l’ingresso di
Romania e Bulgaria e la riforma di alcune delicate organizzazioni comuni di
mercato (ad esempio lo zucchero) facendo riferimento a un plafond già definito
che, pare, possa essere adeguato con qualche difficoltà.
In un contesto caratterizzato
da possibile riduzione del massimale di spesa dell’Unione e di budget della pac
predefinito, ci potrebbe essere quindi un impatto sulle altre politiche, con
particolare riferimento a quelle di sviluppo rurale. In base ad alcune
valutazioni che sono state fatte dalla Commissione, nel caso il tetto di spesa
dovesse scendere al di sotto dell’1,24%, si avrebbe una disponibilità per le
politiche rurali tra il 2007 e il 2013 inferiore a 10 miliardi di euro all’anno
che rappresenta, grosso modo, la spesa effettiva che sarà sostenuta nei
prossimi tre anni a favore dei 25 Stati membri.
D’altro canto, è possibile
che per mantenere a un livello adeguato gli interventi a favore del mondo
rurale, anche tenuto conto delle pressioni che in tal senso esercitano il mondo
politico e alcuni Stati membri, si rimetta in discussione il principio della
inviolabitilità delle spese agricole del primo pilastro fino al 2013, favorendo
un ulteriore trasferimento di risorse tra i due capitoli di spesa.
In definitiva, lo scenario è
molto complesso e deve essere seguito con attenzione, perché potrebbe riservare
amare sorprese e richiedere ulteriori sacrifici all’agricoltura, già colpita
dalla riforma di medio termine della pac.
Il 10 febbraio i nodi
dovrebbero essere sciolti, per quanto riguarda la posizione della Commissione
europea. Poi toccherà ai ministri dell’economia nell’ambito del Consiglio
avviare il dibattito sulle prospettive
finanziarie dell’Ue.
Dalle decisioni che saranno
assunte si potrà iniziare a verificare quale sarà il possibile destino della
politica dei prezzi e dei mercati, della politica di sviluppo rurale e dei
fondi strutturali nell’Europa allargata.
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