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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
 
21
 19-25 Mag.

  2006
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Attualità POLITICA

Arrivano i trucioli, le botti tremano

Pratiche enologiche discusse

La possibilità di dare al vino un falso invecchiamento utilizzando metodi molto più economici dei tradizionali contenitori in legno suscita accese polemiche tra i produttori italiani

Come era inevitabile l’autorizzazione, da parte del Comitato di gestione vini dell’Unione Europea, dell’uso dei trucioli di legno in enologia anche per i vini europei, inclusi ovviamente quelli italiani, (vedi riquadro) ha scatenato numerose discussioni e ha fatto emergere alcune preoccupazioni.
Innanzitutto va premesso, altrimenti non assolveremmo al meglio il nostro dovere di giornalisti, che l’utilizzo dei trucioli era ampiamente «sperimentato» anche nel nostro Paese da alcuni anni. A tale proposito si sono tenuti anche convegni e incontri tecnici per analizzare vantaggi e problemi di tale pratica enologica.
Una pratica, ricordiamo, che viene dal cosiddetto nuovo Mondo, Australia in particolare. «Paese – racconta Daniele Accordini, enologo, presidente dell’Assoenologi del Veneto Occidentale – dove il vino è considerato come una bevanda enologica e non, come giustamente avviene da noi, un frutto della terra, del territorio. Già questa distinzione dovrebbe far capire come per un Paese come l’Italia l’utilizzo di tale pratica enologica dovrebbe essere considerato con estrema cautela. Tutte le tecniche, infatti, che portano a standardizzazioni e omologazioni dei gusti dovrebbero essere evitate dal nostro sistema vitivinicolo che proprio nell’autenticità, nel forte legame con il territorio, trova la base per differenziarsi da altri prodotti internazionali».
Certo, riguardo ai costi di produzione i trucioli rappresentano una notevole opportunità. «Non c’è ombra di dubbio – spiega Accordini – che rispetto a una barrique o a una botte di legno, i trucioli hanno costi decisamente inferiori, ma non si deve dimenticare che i gusti dei consumatori stanno cambiando e oggi i vini "di legno" sembrano piacere sempre di meno. Per questo omologarsi adesso è oltremodo pericoloso. Basti pensare, a dimostrazione del calo dell’appeal dei vini con forti sentori di legno, che il mercato della barrique è in calo inesorabile e nel 2005 le vendite sono diminuite nel nostro Paese tra il 30-35%».
A conferma di quanto affermato da Accordini arrivano anche i dati dall’Australia che mettono in luce una crisi inaspettata. Dal 2002 a oggi l’export dei vini australiani è calato del 33% e oltre il 40% delle aziende vitivinicole australiane, secondo un’indagine della Deloitte, società di consulenza, manifesta fatturati in perdita. A dimostrazione che il fascino del vino australiano allo stato attuale segna battute d’arresto.
Preoccupazioni arrivano anche da uno dei più prestigiosi produttori italiani, Angelo Gaja. Secondo Gaja anche alcuni esponenti del mondo produttivo italiano, soprattutto del settore cooperativistico e industriale, hanno caldeggiato l’autorizzazione di questa pratica enologica. Gaja, quindi, teme «un ennesimo inciucio all’italiana».
«Non è ammissibile autorizzare in Italia l’uso dei trucioli per i vini da tavola – spiega Gaja – se non è stato prima individuato e riconosciuto il metodo ufficiale di analisi che consenta a chi dovrà poi operare i controlli di rilevare se il vino sia maturato in barrique, se abbia invece ricevuto l’aggiunta di trucioli di legno oppure, ancora, se il produttore abbia utilizzato le une e gli altri. Perché autorizzare nei vini da tavola l’uso dei trucioli significa anche che occorrerà porre sotto controllo i vini igt, doc, docg, ma il metodo ufficiale di analisi per riconoscere se sono stati utilizzati i trucioli anziché la barrique va ancora individuato, poi testato e infine approvato ufficialmente. E non saranno certamente tempi brevi. Potrebbe anche succedere che gli inesperti che abusino, o semplicemente usino, la barrique con scarsa maestria per dei vini non da tavola corrano il rischio di venire perseguiti».
Molto più pragmatica la posizione di Alessio Planeta, titolare della famosa azienda siciliana. «Io penso – spiega Planeta – che l’importante sia la chiarezza nei confronti dei consumatori. Fondamentale, quindi, etichettare i vini che utilizzano questa tecnologia. Si potrebbe scrivere "vini affinati con derivati del legno" o qualcosa del genere. La mia preoccupazione è che oggi stiamo dando la sensazione ai consumatori di qualcosa di pericoloso che addirittura potrebbe quasi provocare danni alla salute. Si doveva, dal mio punto di vista, chiarire prima le cose all’interno delle organizzazioni del sistema produttivo. Io ritengo che anche questa polemica sull’utilizzo dei trucioli sia frutto di un errore di fondo del nostro sistema vitivinicolo. E cioè che tutti devono puntare alla fascia alta della qualità produttiva. In questo modo la nostra fascia media e bassa, che è quella dei grandi numeri, sta perdendo quote di mercato. Ebbene, per questa fascia di produttori l’utilizzo di trucioli può rappresentare un’opportunità in termini di competitività nei costi di produzione. Non poter avere questa chance sarebbe un errore.
Infine – conclude Planeta – sarebbe stato positivo, una volta per tutte, discutere non solo di trucioli ma di tutte quelle tecniche enologiche oggi "contestate" nel sistema vino italiano. Mi sembra, infatti, paradossale trovarsi a parlare di trucioli no e tannini sì, chips sì e concentratori no, tanto per fare alcuni esempi. È il caso di fare trasparenza totale e prendere decisioni importanti».

Primo ok all'uso dei trucioli


Bruxelles. Una par condicio tra pratiche enologiche ammesse in Europa e quelle applicate nel resto del mondo è alla base del lavoro di revisione delle tecniche di elaborazione attualmente sotto esame del Comitato di gestione vini della Commissione europea, per assicurare una maggiore competitività alle produzioni comunitarie.
Tra le innovazioni in via di attuazione, la modifica del regolamento comunitario n. 1.493 del 1999, che riprende gli orientamenti espressi fin dal 2001 dall’Oiv, l’Organizzazione internazionale per il vino, che ammetteva l’utilizzo dei frammenti di legno (in particolare trucioli di quercia), e ha quindi aperto la strada alla generalizzazione di questa pratica nei nuovi Paesi produttori, dagli Usa al Cile, dal Canada al Sud Africa.
L’argomento passa ora alla Wto, dove dovrà pronunciarsi il Comitato tecnico contro gli ostacoli agli scambi. Comunque le nuove norme comunitarie potranno essere formalizzate tra qualche mese, in quanto è evidente che la Wto non farà obiezioni.
L’Italia naturalmente non intende restare esclusa da questa corsa alla razionalizzazione della produzione e alla riduzione dei costi e ha appoggiato a suo tempo l’estensione della pratica anche ai vini di produzione nazionale invece della tradizionale maturazione dei vini in barrique; una richiesta accettata dalle istanze comunitarie (non soltanto per l’Italia) ma solo a titolo temporaneo, in base a una deroga scaduta nel luglio dello scorso anno.
Una nota del Ministero delle politiche agricole ha dunque chiesto alla Commissione europea di modificare a titolo definitivo il regolamento 1.493, per poter procedere all’utilizzo dei trucioli di rovere, includendo tra le pratiche ammesse alle stesse condizioni dei Paesi extracomunitari, pur considerando l’esclusione della pratica per talune categorie di vini.
L’iniziativa si inquadra nelle «grandi manovre» per la riforma dell’ocm vino, il pacchetto di proposte che prevede tra l’altro –
nell’ambito di un’accresciuta flessibilità dell’offerta – la piena autorizzazione nell’Ue, per i vini destinati al consumo interno, delle pratiche già accettate per il prodotto destinato all’esportazione.
 

 

Sommario rivista Fabio Piccoli


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