POLITICA |
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Arrivano i trucioli, le botti tremano |
Pratiche enologiche discusse
La possibilità di dare al vino un falso invecchiamento
utilizzando metodi molto più economici dei tradizionali contenitori in legno
suscita accese polemiche tra i produttori italiani
Come era inevitabile l’autorizzazione, da
parte del Comitato di gestione vini dell’Unione Europea, dell’uso dei
trucioli di legno in enologia anche per i vini europei, inclusi ovviamente
quelli italiani, (vedi riquadro) ha scatenato numerose discussioni e
ha fatto emergere alcune preoccupazioni.
Innanzitutto va premesso, altrimenti non assolveremmo al meglio il nostro
dovere di giornalisti, che l’utilizzo dei trucioli era ampiamente
«sperimentato» anche nel nostro Paese da alcuni anni. A tale proposito si
sono tenuti anche convegni e incontri tecnici per analizzare vantaggi e
problemi di tale pratica enologica.
Una pratica, ricordiamo, che viene dal cosiddetto nuovo Mondo, Australia in
particolare. «Paese – racconta Daniele Accordini, enologo, presidente dell’Assoenologi
del Veneto Occidentale – dove il vino è considerato come una bevanda
enologica e non, come giustamente avviene da noi, un frutto della terra, del
territorio. Già questa distinzione dovrebbe far capire come per un Paese
come l’Italia l’utilizzo di tale pratica enologica dovrebbe essere
considerato con estrema cautela. Tutte le tecniche, infatti, che portano a
standardizzazioni e omologazioni dei gusti dovrebbero essere evitate dal
nostro sistema vitivinicolo che proprio nell’autenticità, nel forte legame
con il territorio, trova la base per differenziarsi da altri prodotti
internazionali».
Certo, riguardo ai costi di produzione i trucioli rappresentano una notevole
opportunità. «Non c’è ombra di dubbio – spiega Accordini – che rispetto a
una barrique o a una botte di legno, i trucioli hanno costi decisamente
inferiori, ma non si deve dimenticare che i gusti dei consumatori stanno
cambiando e oggi i vini "di legno" sembrano piacere sempre di meno. Per
questo omologarsi adesso è oltremodo pericoloso. Basti pensare, a
dimostrazione del calo dell’appeal dei vini con forti sentori di
legno, che il mercato della barrique è in calo inesorabile e nel 2005 le
vendite sono diminuite nel nostro Paese tra il 30-35%».
A conferma di quanto affermato da Accordini arrivano anche i dati
dall’Australia che mettono in luce una crisi inaspettata. Dal 2002 a oggi
l’export dei vini australiani è calato del 33% e oltre il 40% delle aziende
vitivinicole australiane, secondo un’indagine della Deloitte, società di
consulenza, manifesta fatturati in perdita. A dimostrazione che il fascino
del vino australiano allo stato attuale segna battute d’arresto.
Preoccupazioni arrivano anche da uno dei più prestigiosi produttori
italiani, Angelo Gaja. Secondo Gaja anche alcuni esponenti del mondo
produttivo italiano, soprattutto del settore cooperativistico e industriale,
hanno caldeggiato l’autorizzazione di questa pratica enologica. Gaja,
quindi, teme «un ennesimo inciucio all’italiana».
«Non è ammissibile autorizzare in Italia l’uso dei trucioli per i vini da
tavola – spiega Gaja – se non è stato prima individuato e riconosciuto il
metodo ufficiale di analisi che consenta a chi dovrà poi operare i controlli
di rilevare se il vino sia maturato in barrique, se abbia invece ricevuto
l’aggiunta di trucioli di legno oppure, ancora, se il produttore abbia
utilizzato le une e gli altri. Perché autorizzare nei vini da tavola l’uso
dei trucioli significa anche che occorrerà porre sotto controllo i vini igt,
doc, docg, ma il metodo ufficiale di analisi per riconoscere se sono stati
utilizzati i trucioli anziché la barrique va ancora individuato, poi testato
e infine approvato ufficialmente. E non saranno certamente tempi brevi.
Potrebbe anche succedere che gli inesperti che abusino, o semplicemente
usino, la barrique con scarsa maestria per dei vini non da tavola corrano il
rischio di venire perseguiti».
Molto più pragmatica la posizione di Alessio Planeta, titolare della famosa
azienda siciliana. «Io penso – spiega Planeta – che l’importante sia la
chiarezza nei confronti dei consumatori. Fondamentale, quindi, etichettare i
vini che utilizzano questa tecnologia. Si potrebbe scrivere "vini affinati
con derivati del legno" o qualcosa del genere. La mia preoccupazione è che
oggi stiamo dando la sensazione ai consumatori di qualcosa di pericoloso che
addirittura potrebbe quasi provocare danni alla salute. Si doveva, dal mio
punto di vista, chiarire prima le cose all’interno delle organizzazioni del
sistema produttivo. Io ritengo che anche questa polemica sull’utilizzo dei
trucioli sia frutto di un errore di fondo del nostro sistema vitivinicolo. E
cioè che tutti devono puntare alla fascia alta della qualità produttiva. In
questo modo la nostra fascia media e bassa, che è quella dei grandi numeri,
sta perdendo quote di mercato. Ebbene, per questa fascia di produttori
l’utilizzo di trucioli può rappresentare un’opportunità in termini di
competitività nei costi di produzione. Non poter avere questa chance sarebbe
un errore.
Infine – conclude Planeta – sarebbe stato positivo, una volta per tutte,
discutere non solo di trucioli ma di tutte quelle tecniche enologiche oggi
"contestate" nel sistema vino italiano. Mi sembra, infatti, paradossale
trovarsi a parlare di trucioli no e tannini sì, chips sì e concentratori no,
tanto per fare alcuni esempi. È il caso di fare trasparenza totale e
prendere decisioni importanti».
Primo ok all'uso dei trucioli |
Bruxelles. Una par condicio tra pratiche
enologiche ammesse in Europa e quelle applicate nel resto del mondo
è alla base del lavoro di revisione delle tecniche di elaborazione
attualmente sotto esame del Comitato di gestione vini della
Commissione europea, per assicurare una maggiore competitività alle
produzioni comunitarie.
Tra le innovazioni in via di attuazione, la modifica del regolamento
comunitario n. 1.493 del 1999, che riprende gli orientamenti
espressi fin dal 2001 dall’Oiv, l’Organizzazione internazionale per
il vino, che ammetteva l’utilizzo dei frammenti di legno (in
particolare trucioli di quercia), e ha quindi aperto la strada alla
generalizzazione di questa pratica nei nuovi Paesi produttori, dagli
Usa al Cile, dal Canada al Sud Africa.
L’argomento passa ora alla Wto, dove dovrà pronunciarsi il Comitato
tecnico contro gli ostacoli agli scambi. Comunque le nuove norme
comunitarie potranno essere formalizzate tra qualche mese, in quanto
è evidente che la Wto non farà obiezioni.
L’Italia naturalmente non intende restare esclusa da questa corsa
alla razionalizzazione della produzione e alla riduzione dei costi e
ha appoggiato a suo tempo l’estensione della pratica anche ai vini
di produzione nazionale invece della tradizionale maturazione dei
vini in barrique; una richiesta accettata dalle istanze comunitarie
(non soltanto per l’Italia) ma solo a titolo temporaneo, in base a
una deroga scaduta nel luglio dello scorso anno.
Una nota del Ministero delle politiche agricole ha dunque chiesto
alla Commissione europea di modificare a titolo definitivo il
regolamento 1.493, per poter procedere all’utilizzo dei trucioli di
rovere, includendo tra le pratiche ammesse alle stesse condizioni
dei Paesi extracomunitari, pur considerando l’esclusione della
pratica per talune categorie di vini.
L’iniziativa si inquadra nelle «grandi manovre» per la riforma dell’ocm
vino, il pacchetto di proposte che prevede tra l’altro –
nell’ambito di un’accresciuta flessibilità dell’offerta – la piena
autorizzazione nell’Ue, per i vini destinati al consumo interno,
delle pratiche già accettate per il prodotto destinato
all’esportazione.
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