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Nella Finanziaria la bioenergia c'è, ma serve
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Le riduzioni delle accise, delle imposte e dell’Iva sono elementi
importanti per promuovere i biocarburanti, ma questo non risolve i problemi
in campagna, dove senza la ricerca non si hanno a disposizione colture con
rese remunerative
La Finanziaria, ovvero la legge annuale di spesa dello Stato, non
è una legge di politica agraria. Le sue finalità sono ben più ambiziose,
volendo incidere nei meccanismi economici dello Stato, ma tanti sono gli
articoli e i commi che fanno riferimento al settore agricolo che è difficile
ignorarla.
Questa legge non è ancora formalmente tale, ma con l’approvazione del
cosiddetto maxiemendamento si può dire che l’impianto sia già ampiamente
delineato.
I commi con attinenza all’agricoltura sono un numero ragguardevole e vi si
trova di tutto, da cose importanti, come finanziamenti all’irrigazione, alla
cassa per l’acquisto dei terreni, a oscuri commi sull’uso multiplo di
certificati catastali, alla possibilità di ex dipendenti dei Consorzi agrari
di essere assunti da Regioni ed enti locali (per legge?), sino a una robusta
esenzione fiscale per chi organizza feste paesane.
Saltiamo tutto questo, ci vorranno tempo e veri specialisti per districarsi
in tale ginepraio.
Un impianto che appare già da ora relativamente chiaro, e che interessa
tutti gli agricoltori, è quello delle bioenergie.
Gli articoli della legge in proposito sono diversi, in gran parte di
carattere fiscale. L’azione è basata su sgravi di accise e imposte e
riduzioni dell’aliquota Iva.
Vi è un articolo basilare che indica che entro il 2010, il 5,75 % dei
carburanti dovrà essere di origine «bio».
Dunque, si delinea uno sbocco certo per chi li vuole produrre. Si precisa
altresì che saranno privilegiati i contratti di filiera nei fornitori.
Questo dovrebbe favorire i produttori italiani. Uno dei problemi attuali del
biodiesel in Italia è che il pochissimo biodiesel usato deriva da oli
straneri, in particolare olio di palma asiatico.
Ammettendo che il Governo abbia fatto la sua parte, cosa resta da fare? Qui
iniziano i problemi.
Prima o poi è da chiarire un equivoco di fondo, ovvero: promuoviamo il
biodiesel, i biocarburanti per l’ambiente, per il Protocollo di Kyoto, per
le anime belle dei Verdi, oppure per innalzare il reddito agricolo e per
offrire più opzioni produttive agli agricoltori ?
Le cose possono e non possono coincidere.
Se promoviamo le bioenergie solo a fini ambientali, l’alcol brasiliano o
l’olio vegetale asiatico sono assolutamente compatibili con questi
obiettivi.
Se invece si vuole «anche» favorire la nostra agricoltura occorrerà fare
molto di più. Non sarà un regalo, l’uso di prodotti nazionali è più sicuro e
aiuta l’industria di trasformazione e, forse, è anche più economico.
In ogni caso oggi siamo in altomare. Le uniche esperienze economicamente
vantaggiose per gli agricoltori in Italia sono quelle del biogas, in piccole
unità produttive fatte per cedere energia elettrica all’Enel. Realtà
comunque minuscole.
Sul biodisel, ancora quasi niente, zero sul bioetanolo. Non esistono
contratti equi di filiera per il girasole e la soia. Ma è in campagna che vi
sono i problemi più seri.
Se per il girasole qualche margine economico almeno sulla carta ci sarebbe,
per la soia siamo ancora a livelli non remunerativi. Il colza è una
incognita, ma anche la speranza. Al momento non è una coltura vantaggiosa,
ma stanno arrivando nuove varietà più produttive e adatte ai terreni
italiani. Vedremo.
Per l’alcol, gli ex zuccherieri chiedono sempre più soldi per fare impianti,
che non faranno, e in ogni caso, non vi è un solo conto economico che faccia
sperare bene. Per il resto, vi è ben poco. Ma come sempre, almeno dal 1700 a
oggi, saranno le innovazioni e le nuove tecnologie ad avere un ruolo
fondamentale. Bisogna crederci.
Ritornando a quanto dicevo, se non si riusciranno ad avere colza e soia con
rese maggiori, bietole con percentuali alte di zucchero a ettaro, non ci
sarà provvedimento di Finanziaria che serva, né filiere realizzabili.
L’innovazione tecnologica passa per la ricerca e questa costa. Non si sa
ancora se il Cra, il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in
agricoltura, sia uscito dallo stato comatoso che lo ha colpito da anni.
Speriamo bene. Potrebbe dare una mano. Se si spendessero in questa direzione
parte delle risorse degli assolutamente «inutili», ma adorati dagli
assessori, Piani di sviluppo rurale, forse ci sarà una speranza. Non
parliamo poi dei molti fondi del cosiddetto «secondo pilastro», che per i
costi di transazione si perdono come acqua nel deserto. Fondi che
finalizzati nella ricerca agronomica darebbero frutti. Grazie a ogni modo
alla Finanziaria per la buona volontà dimostrata.
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