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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
 
50
 22-28 Dic.

  2006
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Editoriale

Nella Finanziaria la bioenergia c'è, ma serve altro
Antonio Piccinini

Le riduzioni delle accise, delle imposte e dell’Iva sono elementi importanti per promuovere i biocarburanti, ma questo non risolve i problemi in campagna, dove senza la ricerca non si hanno a disposizione colture con rese remunerative

La Finanziaria, ovvero la legge annuale di spesa dello Stato, non è una legge di politica agraria. Le sue finalità sono ben più ambiziose, volendo incidere nei meccanismi economici dello Stato, ma tanti sono gli articoli e i commi che fanno riferimento al settore agricolo che è difficile ignorarla.
Questa legge non è ancora formalmente tale, ma con l’approvazione del cosiddetto maxiemendamento si può dire che l’impianto sia già ampiamente delineato.
I commi con attinenza all’agricoltura sono un numero ragguardevole e vi si trova di tutto, da cose importanti, come finanziamenti all’irrigazione, alla cassa per l’acquisto dei terreni, a oscuri commi sull’uso multiplo di certificati catastali, alla possibilità di ex dipendenti dei Consorzi agrari di essere assunti da Regioni ed enti locali (per legge?), sino a una robusta esenzione fiscale per chi organizza feste paesane.
Saltiamo tutto questo, ci vorranno tempo e veri specialisti per districarsi in tale ginepraio.
Un impianto che appare già da ora relativamente chiaro, e che interessa tutti gli agricoltori, è quello delle bioenergie.
Gli articoli della legge in proposito sono diversi, in gran parte di carattere fiscale. L’azione è basata su sgravi di accise e imposte e riduzioni dell’aliquota Iva.
Vi è un articolo basilare che indica che entro il 2010, il 5,75 % dei carburanti dovrà essere di origine «bio».
Dunque, si delinea uno sbocco certo per chi li vuole produrre. Si precisa altresì che saranno privilegiati i contratti di filiera nei fornitori.
Questo dovrebbe favorire i produttori italiani. Uno dei problemi attuali del biodiesel in Italia è che il pochissimo biodiesel usato deriva da oli straneri, in particolare olio di palma asiatico.
Ammettendo che il Governo abbia fatto la sua parte, cosa resta da fare? Qui iniziano i problemi.
Prima o poi è da chiarire un equivoco di fondo, ovvero: promuoviamo il biodiesel, i biocarburanti per l’ambiente, per il Protocollo di Kyoto, per le anime belle dei Verdi, oppure per innalzare il reddito agricolo e per offrire più opzioni produttive agli agricoltori ?
Le cose possono e non possono coincidere.
Se promoviamo le bioenergie solo a fini ambientali, l’alcol brasiliano o l’olio vegetale asiatico sono assolutamente compatibili con questi obiettivi.
Se invece si vuole «anche» favorire la nostra agricoltura occorrerà fare molto di più. Non sarà un regalo, l’uso di prodotti nazionali è più sicuro e aiuta l’industria di trasformazione e, forse, è anche più economico.
In ogni caso oggi siamo in altomare. Le uniche esperienze economicamente vantaggiose per gli agricoltori in Italia sono quelle del biogas, in piccole unità produttive fatte per cedere energia elettrica all’Enel. Realtà comunque minuscole.
Sul biodisel, ancora quasi niente, zero sul bioetanolo. Non esistono contratti equi di filiera per il girasole e la soia. Ma è in campagna che vi sono i problemi più seri.
Se per il girasole qualche margine economico almeno sulla carta ci sarebbe, per la soia siamo ancora a livelli non remunerativi. Il colza è una incognita, ma anche la speranza. Al momento non è una coltura vantaggiosa, ma stanno arrivando nuove varietà più produttive e adatte ai terreni italiani. Vedremo.
Per l’alcol, gli ex zuccherieri chiedono sempre più soldi per fare impianti, che non faranno, e in ogni caso, non vi è un solo conto economico che faccia sperare bene. Per il resto, vi è ben poco. Ma come sempre, almeno dal 1700 a oggi, saranno le innovazioni e le nuove tecnologie ad avere un ruolo fondamentale. Bisogna crederci.
Ritornando a quanto dicevo, se non si riusciranno ad avere colza e soia con rese maggiori, bietole con percentuali alte di zucchero a ettaro, non ci sarà provvedimento di Finanziaria che serva, né filiere realizzabili.
L’innovazione tecnologica passa per la ricerca e questa costa. Non si sa ancora se il Cra, il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, sia uscito dallo stato comatoso che lo ha colpito da anni. Speriamo bene. Potrebbe dare una mano. Se si spendessero in questa direzione parte delle risorse degli assolutamente «inutili», ma adorati dagli assessori, Piani di sviluppo rurale, forse ci sarà una speranza. Non parliamo poi dei molti fondi del cosiddetto «secondo pilastro», che per i costi di transazione si perdono come acqua nel deserto. Fondi che finalizzati nella ricerca agronomica darebbero frutti. Grazie a ogni modo alla Finanziaria per la buona volontà dimostrata.
 

Sommario rivista Antonio Piccinini


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