UNIONE EUROPEA |
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I paradossi dello zucchero europeo |
Tagli produttivi in alcuni paesi, ma la regola non vale per tutti
Mentre Italia e Portogallo hanno drasticamente ridotto le loro quote
produttive, Francia e Germania hanno aumentato le proprie. Possibili nuovi
tagli produttivi a partire dal 2007-2008
Una domanda insistente interessa il sistema della produzione di zucchero
in Italia. La situazione che si è determinata con la recente riforma della
pac è dovuta all’errata impostazione del negoziato politico con Bruxelles,
oppure è il risultato della inadeguata competitività della produzione
nazionale?
La riforma a oggi ha prodotto lo smantellamento del 50% della capacità
produttiva nazionale, ma rischia di compromettere anche una porzione non
marginale della parte residua.
Non sarà facile dare una risposta convincente, ma è opportuno continuare a
interrogarsi sull’argomento, non tanto per scovare i colpevoli, quanto per
individuare delle piste praticabili per salvaguardare la filiera dello
zucchero in Italia e per difendere gli interessi nazionali.
Per agevolare tali compiti è utile riportare due fatti che si sono
verificati nelle ultime settimane: uno di diretto interesse per il settore e
l’altro che non riguarda direttamente la questione zucchero, ma che può
avere delle interessanti affinità.
Partiamo dal primo. È stato recentemente pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale delle Ce il regolamento n. 1585/2006 che opera l’adeguamento
delle quote zucchero nazionali, a suo tempo sancite con il regolamento
318/2006 (la nuova ocm per lo zucchero), alla luce di due eventi:
l’attribuzione delle quote supplementari a favore delle imprese saccarifere
che ne hanno fatto richiesta e la presentazione delle domande di
partecipazione al regime di abbandono volontario della produzione (piano di
ristrutturazione).
La combinazione dei tre elementi (quota nazionale iniziale, supplementi di
quota previsti nella nuova ocm e richiesti fin dal 2006-2007 e
partecipazione al regime di cessazione volontaria) hanno prodotto i
risultati evidenziati in tabella.
Ci sono Paesi che vedono un ridimensionamento notevole della propria
capacità produttiva: in Irlanda scompare la produzione nazionale di
zucchero, in Italia e in Portogallo si scende al di sotto della soglia del
50%, in Spagna e in Svezia il sacrificio produttivo è attorno al 10%.
Ci sono, altresì, Stati membri che registrano un aumento della quota
disponibile per la corrente campagna di commercializzazione, al lordo delle
misure del riporto e del ritiro dal mercato. È questa la stranezza, in un
contesto generale caratterizzato dalla parola d’ordine di ridurre di almeno
2,5 milioni di tonnellate la produzione di zucchero dell’Ue.
Per quale motivo si aumenta la quota nazionale per Germania (7%) e Francia
(8%), mentre all’Italia si chiedono sacrifici enormi e tali da portare a
morte improvvisa, in certe aree geografiche, una filiera produttiva che fino
a oggi aveva creato valore aggiunto, occupazione e opportunità di reddito?
Gli agricoltori tedeschi e francesi e la relativa industria saccarifera
hanno potuto contare, fin dal primo anno di applicazione della nuova
politica di sostegno del settore, su una quota supplementare cospicua
(352.000 e 239.000 t rispettivamente), con la quale temperare gli effetti
del radicale cambiamento, seppure a fronte del pagamento di un prelievo
unico di 730 euro/t da parte delle imprese industriali beneficiarie.
La quota zucchero supplementare attribuita all’Italia ammonta ad appena
10.000 t (allegato IV del regolamento 318/2006), la quale, peraltro, non è
stata ancora rivendicata dalle imprese saccarifere nazionali.
A consuntivo, il primo anno di applicazione della riforma zucchero ha
portato a una riduzione del potenziale produttivo europeo ben al di sotto
del necessario e tutto a carico di tre Stati membri. Le quote rinunciate
(prevalentemente da Italia, Portogallo e Irlanda) sono ammontate a 1,1
milioni di tonnellate, mentre quelle supplementari allocate ex novo
sono state di quasi 600.000 t.
La differenza rispetto alla soglia produttiva comunitaria, che è necessario
raggiungere per tenere in equilibrio il mercato e rispettare i vincoli
internazionali, dovrà essere recuperata attraverso gli altri due strumenti
di regolazione del mercato che sono i ritiri (sotto forma di tagli
temporanei fino al 2010 e poi definitivi) e il riporto.
Da questo punto di vista non esiste alcuna garanzia per l’Italia di evitare
ulteriori sacrifici in termini di diminuzione del potenziale di produzione.
Al taglio volontario del 50% potrebbero aggiungersi, dal 2007-2008 in
avanti, ulteriori detrazioni temporanee o permanenti, a seconda dei casi, e,
probabilmente, senza più deroghe per i Paesi che hanno aderito
massicciamente alla misura della ristrutturazione.
Il secondo episodio risale alla prima settimana di settembre e riguarda un
prodotto diverso rispetto alla zucchero (il cotone) e un Paese membro che
non è l’Italia (la Spagna). Ma rappresenta altresì un fatto sul quale
conviene soffermarsi perché invita a prendere seriamente in considerazione
una tesi da mesi formulata dall’Associazione nazionale dei bieticoltori (Anb),
che è stata finora ingiustamente sottovalutata, se non addirittura del tutto
ignorata.
La tesi dell’Anb
In sintesi, l’Anb ritiene che la riforma dell’ocm sia incompatibile con le
regole del Trattato europeo e non abbia preso in considerazione gli
interessi nazionali e per questo sia impugnabile presso una istituzione
internazionale. A tale riguardo, l’Associazione dei bieticoltori ha spesso
citato la Wto.
L’episodio che qui interessa è la sentenza della Corte di giustizia europea
con la quale il regime di sostegno al cotone, introdotto con la riforma del
2004, è stato annullato e le istituzioni comunitarie sono state invitate a
mettere in piedi un sistema diverso.
In particolare, a essere presa di mira è la disposizione che prevede il
disaccoppiamento in ragione almeno del 65% rispetto al percepito storico. In
tal modo, secondo la Corte, non si assicura la profittabilità per i
coltivatori e per i trasformatori e non si garantisce la continuità della
coltivazione.
Non è detto che un ricorso analogo per lo zucchero dia ragione all’Italia.
Ma sarebbe almeno opportuno pensarci, senza dare per scontato che quel che è
stato fatto nel novembre del 2005 debba per forza restare intoccabile.
Qualche aspetto aggredibile del compromesso finale sullo zucchero
probabilmente lo si troverà e magari potrebbe essere utilmente utilizzato
per salvaguardare la produzione nazionale.
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