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L'Informatore Agrario

Sommario rivista

Approfondimento

 
43
 3-9 Nov.

  2006
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Attualità PRIMA PAGINA

Un Salone del gusto e di contraddizioni

Prelibatezze e agricoltura di sussistenza

A Torino folla di visitatori alla ricerca dei prodotti alimentari di nicchia, ma anche riflessioni sulla povertà nel nostro pianeta, che a Terra Madre ha posto all’attenzione generale i disastri di uno sviluppo non sostenibile

I dati della Fao ci dicono che produciamo cibo per 12 miliardi di viventi, mentre siamo 6 miliardi e 300 milioni. Oltre 800 milioni soffrono di malnutrizione e di fame, un miliardo e 700 milioni, invece, soffrono di obesità e il diabete è in crescita esponenziale come le malattie cardiovascolari determinate dalla malnutrizione.
Questo è il paradosso, se vogliamo allucinante, che è stato ben rappresentato al Salone del gusto e Terra Madre, che si sono tenuti a Torino dal 26 al 30 ottobre.
Una contraddizione paradossale che Carlo Petrini, fondatore e presidente internazionale di Slow Food, ha messo insieme nelle due manifestazioni che si sono tenute contemporaneamente nella capitale piemontese.
Mentre, quindi, nell’ambito del Salone del gusto si tenevano degustazioni prelibate dei prodotti tipici più straordinari di tutto il pianeta, soprattutto italiani, a poche decine di metri dal Lingotto – nello splendido Oval, realizzato in occasione delle recenti Olimpiadi invernali di Torino – si svolgeva Terra Madre e si discuteva di fame, malnutrizione, di Paesi letteralmente in ginocchio a causa di politiche scellerate sulle quali le cosiddette Nazioni più evolute non solo hanno spesso chiuso gli occhi, ma hanno anche responsabilità dirette oggettive.
Per Petrini questa contraddizione va messa in mostra perché evidenzia, più delle parole, come «sia fondamentale avere una visione olistica dello sviluppo senza più antinomie». Tradotto significa che il nostro sviluppo non può essere svincolato da una visione di sviluppo globale, che parlare di gastronomia significa prima di tutto parlare di agricoltura. Insomma, che tutto è e deve essere fortemente legato. Ed è proprio questo sviluppo a compartimenti stagni, dove l’economia non ha fatto i conti con la cultura (addirittura talvolta l’ha negata), dove la ricerca scientifica talvolta ha snobbato la sapienza degli agricoltori, dove la tecnica non sempre è andata a braccetto con la qualità della vita, che oggi è causa di tanti mali del nostro pianeta.
Non si può rimanere insensibili al grido di dolore lanciato da Aminata Traoré, ex ministro della cultura del Mali e autrice di libri sul futuro dell’Africa, che ha denunciato le difficoltà del suo Paese a causa di scelte «realizzate da politici con i piedi in Africa ma con la testa nel Nord del mondo». Scelte che hanno portato il Mali a investire unicamente nella coltura del cotone, oggi non più richiesto dal mercato.
Perdita di colture e culture che non possono lasciare indifferenti, che non solo toccano le nostre anime ma anche, e lo sarà ancor di più nel prossimo futuro, le nostre economie, quelle dei cosiddetti Paesi ricchi.
Ricchezza e povertà si sono mischiate in maniera straordinaria a Torino. È stata una eccellente opportunità per discutere di temi che spesso rimangono fuori dalla porta di numerosi consessi agricoli ed economici.
La sensazione, purtroppo, è che spesso i temi discussi nell’agorà di Terra Madre arrivassero troppo smorzati nei padiglioni del Salone del Gusto dove un’orgia di sapori inebriava le menti della maggioranza dei visitatori e, soprattutto, dei giornalisti. Questi ultimi troppo spesso impegnati a esaltare la formaggella prodotta in 100 pezzi all’anno, ma poco disponibili a un’analisi economica e politica più complessa.
Petrini lo ha capito e in ogni occasione, durante i numerosi convegni e incontri a cui a partecipato, ha tentato di spiegare come i temi chiave si stessero trattando a Terra Madre. Ma leggendo le pagine di molti giornali, guardando le immagini di molti Tg abbiamo la sensazione che temi «pesanti» come la fame, la sostenibilità dell’agricoltura non siano di grande interesse per i nostri media.
Per questa ragione proponiamo ancora agli amici di Slow Food di provare almeno una volta a stringere un’alleanza operativa anche con l’agricoltura professionale del nostro Paese. Siamo convinti vi sarebbe un beneficio per entrambi.
Questioni di prezzo
Sarebbe importante, infatti, sapere dai quasi 200.000 visitatori che hanno invaso il Lingotto, degustando e comprando prodotti tipici a prezzi talvolta stratosferici, se sono coscienti che gli agricoltori italiani (quei contadini raccontati da Petrini) spesso riescono a spuntare, si fa per dire, prezzi che non coprono nemmeno i costi di produzione.
A questo proposito sarebbe interessante capire se è attendibile il risultato del sondaggio presentato la settimana scorsa dal settimanale la Repubblica - Salute, secondo il quale la stragrande maggioranza degli italiani è interessata, nell’acquisto dei prodotti alimentari, prima di tutto al gusto, al sapore, all’apparenza, alla qualità (50,4%), ben più che al prezzo (8,4%).
Agli agricoltori italiani piacerebbe realmente fosse così, ma se guardano la loro redditività non possono non rimanere perplessi. Al punto che, osservando gli appassionati di enogastronomia, che hanno fatto lunghe code davanti al Lingotto, viene da pensare che o non rappresentano un campione attendibile del consumatore medio italiano o nella filiera agroalimentare del nostro Paese l’agricoltore è veramente un soggetto di debolezza impressionante.
È con questi pensieri in testa che abbiamo ascoltato le parole di Petrini durante l’inaugurazione di Terra Madre, alla presenza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e del ministro delle politiche agricole Paolo De Castro.
Buono, pulito, giusto
«Noi dobbiamo avere la forza – ha detto Petrini – di riconsegnare questa economia ai contadini, perché il cibo deve essere buono, pulito e giusto. Buono, assolutamente buono, non è detto che siamo condannati a mangiar male. La memoria gastronomica italiana aveva un nome: la fame. In questa memoria la sapienzialità di tante donne realizzava con l’economia di sussistenza dei capolavori molto semplici, però buoni. Pulito, perché non si può produrre il cibo stressando ecosistemi, rovinando l’ambiente, distruggendo la biodiversità. Giusto, perché il contadino dev’essere remunerato: se noi vogliamo che i giovani rimangano, ritornino alla terra, qui, nei nostri Paesi, devono avere dignità, gratificazione, devono essere valorizzati».
«Allora, buono pulito e giusto – ha aggiunto Petrini – sono i tre aggettivi, molto contadini, ai quali i consumatori, che io vorrei definire coproduttori, dovranno contribuire per cambiare profondamente questo sistema che ci porta alla follia. Ecco il senso della rete internazionale, ecco il senso di una globalizzazione virtuosa. Noi stiamo mettendo il seme di una globalizzazione virtuosa e questa globalizzazione virtuosa deve avere la forza di rivendicare diritti collettivi che fanno economia e che realizzano una nuova frontiera dei diritti».
Su questi principi Petrini e la sua organizzazione possono stare certi: hanno dalla loro parte anche gli allevatori di Frisona della Pianura Padana, non solo i campesinos del Brasile.

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Fabio Piccoli



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