PRIMA PAGINA |
|
Un Salone del gusto e di contraddizioni |
Prelibatezze e agricoltura di sussistenza
A Torino folla di visitatori alla ricerca
dei prodotti alimentari di nicchia, ma anche riflessioni sulla povertà nel
nostro pianeta, che a Terra Madre ha posto all’attenzione generale i
disastri di uno sviluppo non sostenibile
I dati della Fao ci dicono che produciamo cibo per 12
miliardi di viventi, mentre siamo 6 miliardi e 300 milioni. Oltre 800
milioni soffrono di malnutrizione e di fame, un miliardo e 700 milioni,
invece, soffrono di obesità e il diabete è in crescita esponenziale come le
malattie cardiovascolari determinate dalla malnutrizione.
Questo è il paradosso, se vogliamo allucinante, che è stato ben
rappresentato al Salone del gusto e Terra Madre, che si sono tenuti a Torino
dal 26 al 30 ottobre.
Una contraddizione paradossale che Carlo Petrini, fondatore e presidente
internazionale di Slow Food, ha messo insieme nelle due manifestazioni che
si sono tenute contemporaneamente nella capitale piemontese.
Mentre, quindi, nell’ambito del Salone del gusto si tenevano degustazioni
prelibate dei prodotti tipici più straordinari di tutto il pianeta,
soprattutto italiani, a poche decine di metri dal Lingotto – nello splendido
Oval, realizzato in occasione delle recenti Olimpiadi invernali di Torino –
si svolgeva Terra Madre e si discuteva di fame, malnutrizione, di Paesi
letteralmente in ginocchio a causa di politiche scellerate sulle quali le
cosiddette Nazioni più evolute non solo hanno spesso chiuso gli occhi, ma
hanno anche responsabilità dirette oggettive.
Per Petrini questa contraddizione va messa in mostra perché evidenzia, più
delle parole, come «sia fondamentale avere una visione olistica dello
sviluppo senza più antinomie». Tradotto significa che il nostro sviluppo non
può essere svincolato da una visione di sviluppo globale, che parlare di
gastronomia significa prima di tutto parlare di agricoltura. Insomma, che
tutto è e deve essere fortemente legato. Ed è proprio questo sviluppo a
compartimenti stagni, dove l’economia non ha fatto i conti con la cultura
(addirittura talvolta l’ha negata), dove la ricerca scientifica talvolta ha
snobbato la sapienza degli agricoltori, dove la tecnica non sempre è andata
a braccetto con la qualità della vita, che oggi è causa di tanti mali del
nostro pianeta.
Non si può rimanere insensibili al grido di dolore lanciato da Aminata
Traoré, ex ministro della cultura del Mali e autrice di libri sul futuro
dell’Africa, che ha denunciato le difficoltà del suo Paese a causa di scelte
«realizzate da politici con i piedi in Africa ma con la testa nel Nord del
mondo». Scelte che hanno portato il Mali a investire unicamente nella
coltura del cotone, oggi non più richiesto dal mercato.
Perdita di colture e culture che non possono lasciare indifferenti, che non
solo toccano le nostre anime ma anche, e lo sarà ancor di più nel prossimo
futuro, le nostre economie, quelle dei cosiddetti Paesi ricchi.
Ricchezza e povertà si sono mischiate in maniera straordinaria a Torino. È
stata una eccellente opportunità per discutere di temi che spesso rimangono
fuori dalla porta di numerosi consessi agricoli ed economici.
La sensazione, purtroppo, è che spesso i temi discussi nell’agorà di Terra
Madre arrivassero troppo smorzati nei padiglioni del Salone del Gusto dove
un’orgia di sapori inebriava le menti della maggioranza dei visitatori e,
soprattutto, dei giornalisti. Questi ultimi troppo spesso impegnati a
esaltare la formaggella prodotta in 100 pezzi all’anno, ma poco disponibili
a un’analisi economica e politica più complessa.
Petrini lo ha capito e in ogni occasione, durante i numerosi convegni e
incontri a cui a partecipato, ha tentato di spiegare come i temi chiave si
stessero trattando a Terra Madre. Ma leggendo le pagine di molti giornali,
guardando le immagini di molti Tg abbiamo la sensazione che temi «pesanti»
come la fame, la sostenibilità dell’agricoltura non siano di grande
interesse per i nostri media.
Per questa ragione proponiamo ancora agli amici di Slow Food di provare
almeno una volta a stringere un’alleanza operativa anche con l’agricoltura
professionale del nostro Paese. Siamo convinti vi sarebbe un beneficio per
entrambi.
Questioni di prezzo
Sarebbe importante, infatti, sapere dai quasi 200.000 visitatori che hanno
invaso il Lingotto, degustando e comprando prodotti tipici a prezzi talvolta
stratosferici, se sono coscienti che gli agricoltori italiani (quei
contadini raccontati da Petrini) spesso riescono a spuntare, si fa per dire,
prezzi che non coprono nemmeno i costi di produzione.
A questo proposito sarebbe interessante capire se è attendibile il risultato
del sondaggio presentato la settimana scorsa dal settimanale la
Repubblica - Salute, secondo il quale la stragrande maggioranza degli
italiani è interessata, nell’acquisto dei prodotti alimentari, prima di
tutto al gusto, al sapore, all’apparenza, alla qualità (50,4%), ben più che
al prezzo (8,4%).
Agli agricoltori italiani piacerebbe realmente fosse così, ma se guardano la
loro redditività non possono non rimanere perplessi. Al punto che,
osservando gli appassionati di enogastronomia, che hanno fatto lunghe code
davanti al Lingotto, viene da pensare che o non rappresentano un campione
attendibile del consumatore medio italiano o nella filiera agroalimentare
del nostro Paese l’agricoltore è veramente un soggetto di debolezza
impressionante.
È con questi pensieri in testa che abbiamo ascoltato le parole di Petrini
durante l’inaugurazione di Terra Madre, alla presenza del presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano e del ministro delle politiche agricole Paolo
De Castro.
Buono, pulito, giusto
«Noi dobbiamo avere la forza – ha detto Petrini – di riconsegnare questa
economia ai contadini, perché il cibo deve essere buono, pulito e giusto.
Buono, assolutamente buono, non è detto che siamo condannati a mangiar male.
La memoria gastronomica italiana aveva un nome: la fame. In questa memoria
la sapienzialità di tante donne realizzava con l’economia di sussistenza dei
capolavori molto semplici, però buoni. Pulito, perché non si può produrre il
cibo stressando ecosistemi, rovinando l’ambiente, distruggendo la
biodiversità. Giusto, perché il contadino dev’essere remunerato: se noi
vogliamo che i giovani rimangano, ritornino alla terra, qui, nei nostri
Paesi, devono avere dignità, gratificazione, devono essere valorizzati».
«Allora, buono pulito e giusto – ha aggiunto Petrini – sono i tre aggettivi,
molto contadini, ai quali i consumatori, che io vorrei definire coproduttori,
dovranno contribuire per cambiare profondamente questo sistema che ci porta
alla follia. Ecco il senso della rete internazionale, ecco il senso di una
globalizzazione virtuosa. Noi stiamo mettendo il seme di una globalizzazione
virtuosa e questa globalizzazione virtuosa deve avere la forza di
rivendicare diritti collettivi che fanno economia e che realizzano una nuova
frontiera dei diritti».
Su questi principi Petrini e la sua organizzazione possono stare certi:
hanno dalla loro parte anche gli allevatori di Frisona della Pianura Padana,
non solo i campesinos del Brasile.
|