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Strategie e concretezza per salvare la zootecnia |
Fiera di Cremona: stati generali del latte
Serve un piano strategico, maggiore efficienza delle
istituzioni preposte a governare l’agricoltura, più pragmatismo anche nel
rapporto con l’Ue
Una sedia vuota, spalle alla platea, è
l’immagine della terza edizione degli Stati Generali del latte. Appuntamento
clou della Fiera di Cremona, quest’anno «snobbato» dal mondo politico.
Sul palco della Sala Stradivari della palazzina convegni di Cremonafiere
c’erano tutti, anzi quasi tutti.
Presenti: Nino Andena, presidente Aia (Associazione italiana allevatori);
Ernesto Folli, presidente Unalat; Federico Vecchioni, presidente
Confagricoltura; Mario Lanzi, presidente Cia (Confederazione italiana
agricoltori) della Lombardia; Cesare Baldrighi, presidente del Consorzio di
tutela Grana Padano; Fabiola Di Loreto, direttore di Fedagri-Confcooperative
e Antonio Auricchio, vicepresidente di Assolatte.
Assenti illustri: Paolo De Castro, ministro dell’agricoltura e Guido
Tampieri, sottosegretario del Mipaaf con delega.
Peccato, un’altra occasione persa per un confronto costruttivo della filiera
e della politica davanti agli allevatori, i veri destinatari delle decisioni
e delle iniziative di Ministero, associazioni e rappresentanze varie.
Detto questo, per dovere di cronaca e per evidenziare la disattenzione dei
politici da una parte e le scaramucce tra le organizzazioni professionali
dall’altra, va riconosciuto alla Fiera il merito di aver inventato una
formula, quella degli Stati Generali, capace di catalizzare l’attenzione del
mondo allevatoriale italiano.
E proprio Antonio Piva, presidente della Fiera, ha probabilmente
interpretato il pensiero di gran parte degli allevatori presenti agli Stati
Generali del latte: «Da Cremona – ha dichiarato – passano tutti gli
operatori professionali dell’allevamento da latte e della trasformazione.
Qua si parla dell’economia e del futuro della punta di diamante del made in
Italy: l’agroalimentare. Con amarezza, tuttavia, devo constatare che le
telecamere puntate su produzioni marginali e virtuali sono ancora troppo
frequentemente più attraenti dei fatti concreti».
Ha ragione Piva. Parmigiano-Reggiano e Grana Padano (insieme oltre il 40%
del latte italiano) sono due produzioni tipiche e di qualità, proprio come
alcuni rari formaggi esposti a Terra Madre a Torino. Ma per dar lavoro a
tutti gli allevatori coinvolti nel circuito dei Grana ci vorrebbero
centinaia, forse migliaia di Presìdi Slow Food».
A Cremona si è parlato dei problemi di un sistema economico con oltre 23
miliardi di euro di fatturato. Oltre 4 miliardi il valore della materia
prima agricola nazionale.
Forse valeva la pena dare attenzione a un sistema produttivo così importante
e in seria difficoltà.
Assolatte apre al dialogo
«Gli allevatori – ha dichiarato Folli – oggi vedono il loro tempo remunerato
come quello del personale dipendente. E con la tabella qualità di Assolatte
gli imprenditori il prossimo anno guadagneranno meno dei dipendenti». «La
qualità – ha sottolineato –in Italia è pagata meno che in Francia e
Germania, bisogna subito riprendere il dialogo interprofessionale».
Folli è stato chiaro: la revisione della tabella qualità è stata una
decisione unilaterale di Assolatte, in toto subita dagli allevatori.
E subito Auricchio lancia un messaggio di apertura: «Ci teniamo veramente a
trovare un accordo con i produttori».
Sarà vero? Staremo a vedere, ma se dobbiamo essere sinceri non ci crediamo
molto.
L’Ue non fa abbastanza
Per rilanciare il settore lattiero-caseario, ormai tutti concordano, serve
una strategia. «Dobbiamo uscire dalle stalle – ha detto Folli – e pensare
alla promozione del nostro prodotto». Della stessa opinione Baldrighi.
«L’export del Consorzio – ha dichiarato – è aumentato a un tasso del 10%
all’anno nell’ultimo periodo». I mercati di sbocco ci sono, ma servono più
risorse per la promozione. Bruxelles ha ridotto i sostegni diretti alle
produzioni e anche quelli all’export per destinare le risorse, almeno a
parole, verso altri obiettivi, tra cui la promozione dei prodotti di origne
certificata. Lo stanziamento per l’intero territorio comunitario è stato di
3 milioni di euro. Ridicolo.
La critica a Bruxelles viene ripresa da Vecchioni «spostare le risorse dal
primo al secondo pilastro significa spostarle dal mondo produttivo a quello
rurale, non so chi sia e cosa faccia questo mondo rurale». Forse è quello
che porta le telecamere a Torino anziché a Cremona.
Serve più pragmatismo
Ma qualche critica è andata anche al sistema nazionale: «Abbiamo troppi enti
per la ricerca e anche per l’internazionalizzazione: Ice, Camere di
commercio, Regioni, Province, Comuni, Isa, Buonitalia, Qualivita, ecc.
Rischiamo di disperdere le risorse – ha dichiarato Di Loreto – a scapito
dell’efficienza e dell’interesse dell’agricoltura».
E a proposito di efficienza Andena ripropone il progetto Italialleva, in
grado «di garantire rintracciabilità al prodotto italiano, senza gravare di
costi e adempimenti burocratici gli allevatori». «Non possiamo eliminare la
concorrenza – ha continuato Andena – dobbiamo puntare sulla riconoscibilità
del nostro prodotto».La conclusione dei lavori è stata affidata a Vecchioni,
forse perché mancava De Castro o forse per la predilezione di Fiera Cremona
per Confagricoltura.
Una conclusione incentrata in parte sulla richiesta di maggiori efficienza e
pragmatismo del sistema politico italiano accusato di «aver istituito troppi
tavoli» e di aver affidato a troppi enti competenze agricole.
Dall’altra parte Vecchioni ha ripreso la polemica con Coldiretti, forse
rispondendo agli attacchi sferrati dal presidente Paolo Bedoni a Cernobbio.
Gli agricoltori stanno a guardare, ma forse incominciano a chiedersi se
queste dispute facciano bene all’agricoltura.
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