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L'Informatore Agrario

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Approfondimento

 
43
 3-9 Nov.

  2006
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Attualità PRIMA PAGINA

Strategie e concretezza per salvare la zootecnia

Fiera di Cremona: stati generali del latte

Serve un piano strategico, maggiore efficienza delle istituzioni preposte a governare l’agricoltura, più pragmatismo anche nel rapporto con l’Ue

Una sedia vuota, spalle alla platea, è l’immagine della terza edizione degli Stati Generali del latte. Appuntamento clou della Fiera di Cremona, quest’anno «snobbato» dal mondo politico.
Sul palco della Sala Stradivari della palazzina convegni di Cremonafiere c’erano tutti, anzi quasi tutti.
Presenti: Nino Andena, presidente Aia (Associazione italiana allevatori); Ernesto Folli, presidente Unalat; Federico Vecchioni, presidente Confagricoltura; Mario Lanzi, presidente Cia (Confederazione italiana agricoltori) della Lombardia; Cesare Baldrighi, presidente del Consorzio di tutela Grana Padano; Fabiola Di Loreto, direttore di Fedagri-Confcooperative e Antonio Auricchio, vicepresidente di Assolatte.
Assenti illustri: Paolo De Castro, ministro dell’agricoltura e Guido Tampieri, sottosegretario del Mipaaf con delega.
Peccato, un’altra occasione persa per un confronto costruttivo della filiera e della politica davanti agli allevatori, i veri destinatari delle decisioni e delle iniziative di Ministero, associazioni e rappresentanze varie.
Detto questo, per dovere di cronaca e per evidenziare la disattenzione dei politici da una parte e le scaramucce tra le organizzazioni professionali dall’altra, va riconosciuto alla Fiera il merito di aver inventato una formula, quella degli Stati Generali, capace di catalizzare l’attenzione del mondo allevatoriale italiano.
E proprio Antonio Piva, presidente della Fiera, ha probabilmente interpretato il pensiero di gran parte degli allevatori presenti agli Stati Generali del latte: «Da Cremona – ha dichiarato – passano tutti gli operatori professionali dell’allevamento da latte e della trasformazione. Qua si parla dell’economia e del futuro della punta di diamante del made in Italy: l’agroalimentare. Con amarezza, tuttavia, devo constatare che le telecamere puntate su produzioni marginali e virtuali sono ancora troppo frequentemente più attraenti dei fatti concreti».
Ha ragione Piva. Parmigiano-Reggiano e Grana Padano (insieme oltre il 40% del latte italiano) sono due produzioni tipiche e di qualità, proprio come alcuni rari formaggi esposti a Terra Madre a Torino. Ma per dar lavoro a tutti gli allevatori coinvolti nel circuito dei Grana ci vorrebbero centinaia, forse migliaia di Presìdi Slow Food».
A Cremona si è parlato dei problemi di un sistema economico con oltre 23 miliardi di euro di fatturato. Oltre 4 miliardi il valore della materia prima agricola nazionale.
Forse valeva la pena dare attenzione a un sistema produttivo così importante e in seria difficoltà.
Assolatte apre al dialogo
«Gli allevatori – ha dichiarato Folli – oggi vedono il loro tempo remunerato come quello del personale dipendente. E con la tabella qualità di Assolatte gli imprenditori il prossimo anno guadagneranno meno dei dipendenti». «La qualità – ha sottolineato –in Italia è pagata meno che in Francia e Germania, bisogna subito riprendere il dialogo interprofessionale».
Folli è stato chiaro: la revisione della tabella qualità è stata una decisione unilaterale di Assolatte, in toto subita dagli allevatori.
E subito Auricchio lancia un messaggio di apertura: «Ci teniamo veramente a trovare un accordo con i produttori».
Sarà vero? Staremo a vedere, ma se dobbiamo essere sinceri non ci crediamo molto.
L’Ue non fa abbastanza
Per rilanciare il settore lattiero-caseario, ormai tutti concordano, serve una strategia. «Dobbiamo uscire dalle stalle – ha detto Folli – e pensare alla promozione del nostro prodotto». Della stessa opinione Baldrighi. «L’export del Consorzio – ha dichiarato – è aumentato a un tasso del 10% all’anno nell’ultimo periodo». I mercati di sbocco ci sono, ma servono più risorse per la promozione. Bruxelles ha ridotto i sostegni diretti alle produzioni e anche quelli all’export per destinare le risorse, almeno a parole, verso altri obiettivi, tra cui la promozione dei prodotti di origne certificata. Lo stanziamento per l’intero territorio comunitario è stato di 3 milioni di euro. Ridicolo.
La critica a Bruxelles viene ripresa da Vecchioni «spostare le risorse dal primo al secondo pilastro significa spostarle dal mondo produttivo a quello rurale, non so chi sia e cosa faccia questo mondo rurale». Forse è quello che porta le telecamere a Torino anziché a Cremona.
Serve più pragmatismo
Ma qualche critica è andata anche al sistema nazionale: «Abbiamo troppi enti per la ricerca e anche per l’internazionalizzazione: Ice, Camere di commercio, Regioni, Province, Comuni, Isa, Buonitalia, Qualivita, ecc. Rischiamo di disperdere le risorse – ha dichiarato Di Loreto – a scapito dell’efficienza e dell’interesse dell’agricoltura».
E a proposito di efficienza Andena ripropone il progetto Italialleva, in grado «di garantire rintracciabilità al prodotto italiano, senza gravare di costi e adempimenti burocratici gli allevatori». «Non possiamo eliminare la concorrenza – ha continuato Andena – dobbiamo puntare sulla riconoscibilità del nostro prodotto».La conclusione dei lavori è stata affidata a Vecchioni, forse perché mancava De Castro o forse per la predilezione di Fiera Cremona per Confagricoltura.
Una conclusione incentrata in parte sulla richiesta di maggiori efficienza e pragmatismo del sistema politico italiano accusato di «aver istituito troppi tavoli» e di aver affidato a troppi enti competenze agricole.
Dall’altra parte Vecchioni ha ripreso la polemica con Coldiretti, forse rispondendo agli attacchi sferrati dal presidente Paolo Bedoni a Cernobbio.
Gli agricoltori stanno a guardare, ma forse incominciano a chiedersi se queste dispute facciano bene all’agricoltura.
 

Sommario rivista

Antonio Boschetti



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