POLITICA |
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Delude il Piano nazionale per lo sviluppo rurale |
Troppo generico e senza strategie
Il documento non dà indicazioni su quale elemento tra impresa, filiera
e territorio debba essere privilegiato in sede di programmazione regionale.
Poca attenzione al ruolo dell’impresa agricola
A due mesi da quella che dovrebbe essere la data di avvio della nuova
programmazione della politica di sviluppo rurale, per il periodo 2007-2013,
ha visto finalmente la luce il Piano strategico nazionale (Psn).
Si tratta del documento fondamentale nel quale si sostanzia la più
importante delle novità introdotte dalla nuova politica di sviluppo rurale,
vale a dire il cosiddetto approccio strategico. Con questa espressione è
nelle intenzioni della Commissione europea affrontare la programmazione
degli interventi dello sviluppo rurale con una visione strategica che,
partendo da obiettivi prioritari comunitari, possa essere declinata in
maniera armoniosa e coerente a livello nazionale e quindi trovare
applicazione a livello regionale e territoriale secondo le diverse
specificità ed esigenze. Per questo motivo il Psn rappresenta, a norma di
regolamento, «il punto di riferimento» per la stesura dei singoli Psr
regionali. Ciò vuol dire che i documenti regionali verranno valutati e
approvati dalla Commissione europea sulla base della loro coerenza con la
strategia nazionale delineata nel Psn.
Allo stato attuale la lettura del Psn risulta deludente per il suo carattere
di estrema genericità e la sua incapacità di delineare un’efficace strategia
nazionale per lo sviluppo delle imprese agricole e dei territori rurali.
Tale valutazione è stata espressa già da Bruxelles in sede di valutazione
informale della prima bozza del documento, a suo tempo inviato altrettanto
informalmente dagli uffici ministeriali. La seconda versione, in viaggio
stavolta ufficiale verso la Commissione europea, presenta le stesse
caratteristiche e c’è da sperare che non incorra in un’altra solenne
bocciatura che porrebbe a grave rischio l’avvio della nuova fase di
programmazione.
Ma non tutto è da scartare; vanno mantenuti gli elementi positivi, ponendo
velocemente rimedio alle questioni che più rischiano di vanificare la
capacità strategica di una programmazione che deve indirizzare le scelte per
i prossimi 7 anni e oltre.
Gli obiettivi da raggiungere
La politica di sviluppo rurale e i Piani regionali chiamati ad attuarla sul
versante operativo necessitano di una nuova lettura che consenta di
inquadrare gli obiettivi prefissati in chiave strategica e che permetta di
facilitare il difficile passaggio di questa politica dal versante
strettamente settoriale agricolo a quello più squisitamente e decisamente
territoriale. Una lettura che deve essere «integrata» e coerente proprio per
realizzare questo traghettamento lento e graduale ma necessario per il
futuro dei territori rurali italiani ed europei.
Il punto di partenza di tale lettura è il perseguimento, all’interno dei
Piani di sviluppo rurale, di un equilibrio necessario e di una coerenza
indispensabile in termini strategici, di obiettivi, azioni e interventi
nonché di risorse, tra impresa, territorio e filiera. In altri termini oggi
è fondamentale rispondere con lungimiranza alla domanda chiave alla quale
nessun attore chiamato a definire i Psr può sottrarsi, e cioè quale tra
questi elementi – impresa, filiera,
territorio – debba essere al centro delle attenzioni della politica di
sviluppo rurale, e quale debba prevalere o almeno essere privilegiato nei
Psr sul piano della strategia generale e delle risorse messe a disposizione
degli interventi. Il Piano strategico nazionale ha provato a rispondere a
questa domanda. Tuttavia, a causa della considerazione scarsa o nulla che
hanno dato le Regioni a tale documento, indispensabile per la nuova politica
di sviluppo rurale, la risposta è stata una semplice e pura declinazione
delle tre aree di intervento, senza indicazione strategica e tanto meno
indicazione di priorità e integrazione fra i diversi elementi. In altri
termini, il Psn non ha compiuto alcuna scelta strategica di indirizzo,
temendo di invadere il campo di azione delle Regioni, che hanno preferito
snobbare questo documento basilare per il successo della politica di
sviluppo rurale e per la sua integrazione con le altre politiche comunitarie
e nazionali, preferendo agire in solitudine nell’elaborazione dei Psr. Il
massimo sforzo è stato quello di indicare la necessità di un’integrazione
delle diverse misure, sia a livello di singola impresa, sia di filiera
produttiva, sia a livello di territorio. Inoltre, il Psn si limita a
indicare «possibili» modalità di integrazione che «possono» essere
utilizzate congiuntamente e impiegate «anche» in modo complementare a
livello tematico e/o territoriale. La conseguenza di tale atteggiamento
nazionale quanto meno remissivo e possibilista è che oggi ci troviamo di
fronte a 21 autorità regionali e/o provinciali che, sulla base appunto delle
«possibilità» lasciate dal Psn, stanno operando le loro scelte di «non
integrazione», a scapito di un disegno strategico complessivo e con il
rischio di compromettere il futuro sviluppo dei territori rurali. Tali
scelte, infatti, stanno andando per lo più nel senso di costruire i Psr
attorno alla centralità della filiera «agricola» o al massimo «agroalimentare»
o comunque «produttiva», senza nessuna o con scarsa attenzione al ruolo
dell’impresa singola e ancor meno a quello del territorio di riferimento.
Impresa agricola sottovalutata
In sostanza, siamo di fronte a una visione strettamente settoriale dello
sviluppo rurale che sconfina, in alcuni casi, in mera politica agraria e per
di più con l’aggravante di non integrarsi con quest’ultima, così come intesa
e normalmente riferita al primo pilastro della pac. I Psr diventano così uno
strumento per elargire risorse al settore agricolo e agroalimentare,
relegando a un ruolo marginale i territori rurali e l’impresa agricola che
dovrebbero essere i veri protagonisti di questa politica.
È evidente, al contrario, che un buon Psr e ancor prima un buon Psn dovrebbe
individuare nell’equilibrio e nell’integrazione tra impresa, territorio e
filiera gli elementi sui quali costruire la nuova politica di sviluppo
rurale. I tre «attori» dovrebbero dialogare e integrarsi continuamente e
inclusivamente tra di loro in una sorta di triangolo virtuoso per lo
sviluppo locale dei territori rurali.
È chiaro che non è possibile pensare a uno sviluppo rurale che non valorizzi
tutti e tre gli «attori» e che metta l’impresa al centro della propria
strategia di intervento.
Un’impresa che stringe un legame con il territorio nel quale opera in
termini di scambio continuo, di crescita economica e sviluppo e che da
questo legame trae la propria competitività e il proprio valore aggiunto. Un
territorio che indica le priorità d’intervento sulla base dei bisogni
dell’impresa, della filiera e della società rurale. Un’impresa che crea
legami con gli altri attori della filiera fino al consumatore e che da
questo dialogo e scambio continuo trae ulteriore vantaggio competitivo per
sé e per il territorio. A sua volta la filiera si sviluppa e vive nel
territorio con il quale instaura un rapporto di identità in grado di
garantire vero sviluppo locale e non un’effimera crescita momentanea.
Infine, un territorio che rappresenta non solo lo spazio fisico di
riferimento ma il contesto economico, culturale, ambientale, tradizionale e
locale per i rapporti con l’impresa e con la filiera. L’integrazione si
realizza solo in questo equilibrio che permette di valorizzare la logica
neo-distrettuale, basata sui sistemi locali, senza mortificare quella
settoriale ed esaltando quella territoriale.
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