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L'Informatore Agrario

Sommario rivista

Approfondimento

   
41
 27 Ott.-2 Nov.

  2006
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Attualità POLITICA

Delude il Piano nazionale per lo sviluppo rurale

Troppo generico e senza strategie

Il documento non dà indicazioni su quale elemento tra impresa, filiera e territorio debba essere privilegiato in sede di programmazione regionale. Poca attenzione al ruolo dell’impresa agricola

A due mesi da quella che dovrebbe essere la data di avvio della nuova programmazione della politica di sviluppo rurale, per il periodo 2007-2013, ha visto finalmente la luce il Piano strategico nazionale (Psn).
Si tratta del documento fondamentale nel quale si sostanzia la più importante delle novità introdotte dalla nuova politica di sviluppo rurale, vale a dire il cosiddetto approccio strategico. Con questa espressione è nelle intenzioni della Commissione europea affrontare la programmazione degli interventi dello sviluppo rurale con una visione strategica che, partendo da obiettivi prioritari comunitari, possa essere declinata in maniera armoniosa e coerente a livello nazionale e quindi trovare applicazione a livello regionale e territoriale secondo le diverse specificità ed esigenze. Per questo motivo il Psn rappresenta, a norma di regolamento, «il punto di riferimento» per la stesura dei singoli Psr regionali. Ciò vuol dire che i documenti regionali verranno valutati e approvati dalla Commissione europea sulla base della loro coerenza con la strategia nazionale delineata nel Psn.
Allo stato attuale la lettura del Psn risulta deludente per il suo carattere di estrema genericità e la sua incapacità di delineare un’efficace strategia nazionale per lo sviluppo delle imprese agricole e dei territori rurali. Tale valutazione è stata espressa già da Bruxelles in sede di valutazione informale della prima bozza del documento, a suo tempo inviato altrettanto informalmente dagli uffici ministeriali. La seconda versione, in viaggio stavolta ufficiale verso la Commissione europea, presenta le stesse caratteristiche e c’è da sperare che non incorra in un’altra solenne bocciatura che porrebbe a grave rischio l’avvio della nuova fase di programmazione.
Ma non tutto è da scartare; vanno mantenuti gli elementi positivi, ponendo velocemente rimedio alle questioni che più rischiano di vanificare la capacità strategica di una programmazione che deve indirizzare le scelte per i prossimi 7 anni e oltre.
Gli obiettivi da raggiungere
La politica di sviluppo rurale e i Piani regionali chiamati ad attuarla sul versante operativo necessitano di una nuova lettura che consenta di inquadrare gli obiettivi prefissati in chiave strategica e che permetta di facilitare il difficile passaggio di questa politica dal versante strettamente settoriale agricolo a quello più squisitamente e decisamente territoriale. Una lettura che deve essere «integrata» e coerente proprio per realizzare questo traghettamento lento e graduale ma necessario per il futuro dei territori rurali italiani ed europei.
Il punto di partenza di tale lettura è il perseguimento, all’interno dei Piani di sviluppo rurale, di un equilibrio necessario e di una coerenza indispensabile in termini strategici, di obiettivi, azioni e interventi nonché di risorse, tra impresa, territorio e filiera. In altri termini oggi è fondamentale rispondere con lungimiranza alla domanda chiave alla quale nessun attore chiamato a definire i Psr può sottrarsi, e cioè quale tra questi elementi – impresa, filiera, territorio – debba essere al centro delle attenzioni della politica di sviluppo rurale, e quale debba prevalere o almeno essere privilegiato nei Psr sul piano della strategia generale e delle risorse messe a disposizione degli interventi. Il Piano strategico nazionale ha provato a rispondere a questa domanda. Tuttavia, a causa della considerazione scarsa o nulla che hanno dato le Regioni a tale documento, indispensabile per la nuova politica di sviluppo rurale, la risposta è stata una semplice e pura declinazione delle tre aree di intervento, senza indicazione strategica e tanto meno indicazione di priorità e integrazione fra i diversi elementi. In altri termini, il Psn non ha compiuto alcuna scelta strategica di indirizzo, temendo di invadere il campo di azione delle Regioni, che hanno preferito snobbare questo documento basilare per il successo della politica di sviluppo rurale e per la sua integrazione con le altre politiche comunitarie e nazionali, preferendo agire in solitudine nell’elaborazione dei Psr. Il massimo sforzo è stato quello di indicare la necessità di un’integrazione delle diverse misure, sia a livello di singola impresa, sia di filiera produttiva, sia a livello di territorio. Inoltre, il Psn si limita a indicare «possibili» modalità di integrazione che «possono» essere utilizzate congiuntamente e impiegate «anche» in modo complementare a livello tematico e/o territoriale. La conseguenza di tale atteggiamento nazionale quanto meno remissivo e possibilista è che oggi ci troviamo di fronte a 21 autorità regionali e/o provinciali che, sulla base appunto delle «possibilità» lasciate dal Psn, stanno operando le loro scelte di «non integrazione», a scapito di un disegno strategico complessivo e con il rischio di compromettere il futuro sviluppo dei territori rurali. Tali scelte, infatti, stanno andando per lo più nel senso di costruire i Psr attorno alla centralità della filiera «agricola» o al massimo «agroalimentare» o comunque «produttiva», senza nessuna o con scarsa attenzione al ruolo dell’impresa singola e ancor meno a quello del territorio di riferimento.
Impresa agricola sottovalutata
In sostanza, siamo di fronte a una visione strettamente settoriale dello sviluppo rurale che sconfina, in alcuni casi, in mera politica agraria e per di più con l’aggravante di non integrarsi con quest’ultima, così come intesa e normalmente riferita al primo pilastro della pac. I Psr diventano così uno strumento per elargire risorse al settore agricolo e agroalimentare, relegando a un ruolo marginale i territori rurali e l’impresa agricola che dovrebbero essere i veri protagonisti di questa politica.
È evidente, al contrario, che un buon Psr e ancor prima un buon Psn dovrebbe individuare nell’equilibrio e nell’integrazione tra impresa, territorio e filiera gli elementi sui quali costruire la nuova politica di sviluppo rurale. I tre «attori» dovrebbero dialogare e integrarsi continuamente e inclusivamente tra di loro in una sorta di triangolo virtuoso per lo sviluppo locale dei territori rurali.
È chiaro che non è possibile pensare a uno sviluppo rurale che non valorizzi tutti e tre gli «attori» e che metta l’impresa al centro della propria strategia di intervento.
Un’impresa che stringe un legame con il territorio nel quale opera in termini di scambio continuo, di crescita economica e sviluppo e che da questo legame trae la propria competitività e il proprio valore aggiunto. Un territorio che indica le priorità d’intervento sulla base dei bisogni dell’impresa, della filiera e della società rurale. Un’impresa che crea legami con gli altri attori della filiera fino al consumatore e che da questo dialogo e scambio continuo trae ulteriore vantaggio competitivo per sé e per il territorio. A sua volta la filiera si sviluppa e vive nel territorio con il quale instaura un rapporto di identità in grado di garantire vero sviluppo locale e non un’effimera crescita momentanea. Infine, un territorio che rappresenta non solo lo spazio fisico di riferimento ma il contesto economico, culturale, ambientale, tradizionale e locale per i rapporti con l’impresa e con la filiera. L’integrazione si realizza solo in questo equilibrio che permette di valorizzare la logica neo-distrettuale, basata sui sistemi locali, senza mortificare quella settoriale ed esaltando quella territoriale.
 

Sommario rivista

Andrea Fugaro


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