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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
   
39
 13-19 Ott.

  2006
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Speciale Grano tenero Speciale colture proteiche

Proteaginose: rilancio possibile anche in Italia

- Medica e pisello insieme danno più proteine
- Resa proteica delle varietà di pisello
- Agricoltura biologica per il pisello da granella

Le proteaginose, dopo un lungo periodo di crisi caratterizzato da una drastica riduzione delle superfici coltivate (da 364.000 ha negli anni 70 a circa 66.000 ha nel 2000), attualmente attraversano un periodo favorevole nel mercato europeo.
La rinascita è stata favorita non soltanto da motivi di carattere agronomico, ma anche economico.
Dal punto di vista agronomico è risaputa da tempo l’importanza della coltivazione di piante proteiche nel mantenimento della struttura del suolo e la loro capacità di ridurre i fenomeni di dilavamento.
Ulteriori vantaggi derivano dai minori costi di concimazione che caratterizzano queste colture, in quanto necessitano di pochi input; il bisogno di azoto minerale è inesistente e, quindi, l’introduzione di tali piante nel ciclo di rotazione delle colture diminuisce nel complesso la dose di concimi azotati.
Inoltre, le proteaginose, in particolare le leguminose come il pisello e la fava, sono piante rustiche che offrono produzioni interessanti anche su terreni marginali.
Si adattano bene alla rotazione con i cereali, sia dal punto di vista agronomico (migliorandone la struttura del terreno e rilasciando azoto) che organizzativo (utilizzano le macchine dei cereali), con un evidente incremento di resa della coltura del cereale successivo.
Sono ottime anche nell’impiego zootecnico, poiché hanno un elevato valore nutrizionale, una presenza ridotta di fattori antinutrizionali e un basso rischio di contaminazioni fungine. Tuttavia, tali caratteristiche non sono state sufficienti ad affermarne la coltivazione in Italia.
Le ragioni di un insuccesso
Le ragioni vanno ricercate nella scarsa convenienza economica, soprattutto nei terreni fertili della Pianura Padana, in quanto la bassa produttività per ettaro combinata a prezzi di mercato contenuti si traduce in un margine operativo molto lontano rispetto a quello delle colture concorrenti come la soia.
In particolare, in un’azienda di medio-grandi dimensioni (oltre 20 ha) a parità di costi variabili, il margine lordo del pisello proteico si riduce di oltre il 40% rispetto a quello della soia; con una remunerazione del mercato simile a quella soia il differenziale si riduce del 20%.
Anche la recente revisione di medio termine della pac, pur riconoscendo i vantaggi che possono comportare le proteaginose nel contenimento dell’impatto ambientale attraverso l’introduzione di un aiuto specifico per le colture proteiche pari a 55,57 euro/ha, non sembra in grado di far decollare queste colture, specialmente nelle aree più fertili del Paese.
Le prospettive delle leguminose da granella sembrano quindi legate a una ripresa dell’interesse da parte degli operatori zootecnici per incrementare le disponibilità di proteine di origine vegetale, al fine di superare i problemi inerenti alla qualità della soia e alle sue fluttuazioni dei prezzi di mercato. In particolare, a livello comunitario desta preoccupazione l’insicurezza alimentare derivante dalla ridotta autosufficienza di proteine vegetali degli allevamenti (37%).
Parallelamente, risulta sempre più stringente la necessità di garantire la tracciabilità alle filiere alimentari e agrozootecniche, specialmente sulle importazioni di soia gm.
Tutto ciò rende auspicabile che anche in Italia, come già avvenuto nel resto d’Europa, vi sia un incremento della produzione delle proteaginose, favorendo così una maggiore integrazione tra produzioni vegetali e zootecniche; fattore indispensabile per le filiere orientate alle produzioni tipiche, biologiche, di qualità e/o con elevate caratteristiche di tracciabilità.
Un futuro rilancio
Le colture proteiche maggiormente coinvolte in questo periodo di rilancio saranno soprattutto quelle non irrigue a ciclo autunno-primaverile; specie che comunque rientrano nell’incentivo comunitario e la cui coltivazione risulta adatta anche in Italia settentrionale.
Infine, per rendere economicamente convenienti queste colture, sarà indispensabile quantificarne il livello di adattamento con riferimento ai materiali più recenti disponibili sul mercato, per identificare le specie e le varietà capaci di massimizzare le produzioni.
D’altra parte questi fattori non sembrano ancora in grado di assicurare la convenienza di tali colture, la cui coltivazione resta per ora limitata ad ambiti territoriali specifici o a zone con limitate disponibilità irrigue.
Per contro, nelle aree dell’Italia centrale, dove l’applicazione della nuova revisione di medio termine della pac ha fortemente penalizzato il grano duro, il pisello proteico potrebbe essere rivalutato non solo per le sue proprietà agronomiche, ma anche come fonte di integrazione del reddito aziendale.

Sommario rivista

Angela Menguzzato 



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