Proteaginose: rilancio possibile anche in Italia
- Medica e pisello insieme danno più proteine
- Resa proteica delle varietà di pisello
- Agricoltura biologica per il pisello da granella
Le proteaginose, dopo un lungo periodo di crisi
caratterizzato da una drastica riduzione delle superfici coltivate (da
364.000 ha negli anni 70 a circa 66.000 ha nel 2000), attualmente
attraversano un periodo favorevole nel mercato europeo.
La rinascita è stata favorita non soltanto da motivi di carattere
agronomico, ma anche economico.
Dal punto di vista agronomico è risaputa da tempo l’importanza della
coltivazione di piante proteiche nel mantenimento della struttura del suolo
e la loro capacità di ridurre i fenomeni di dilavamento.
Ulteriori vantaggi derivano dai minori costi di concimazione che
caratterizzano queste colture, in quanto necessitano di pochi input; il
bisogno di azoto minerale è inesistente e, quindi, l’introduzione di tali
piante nel ciclo di rotazione delle colture diminuisce nel complesso la dose
di concimi azotati.
Inoltre, le proteaginose, in particolare le leguminose come il pisello e la
fava, sono piante rustiche che offrono produzioni interessanti anche su
terreni marginali.
Si adattano bene alla rotazione con i cereali, sia dal punto di vista
agronomico (migliorandone la struttura del terreno e rilasciando azoto) che
organizzativo (utilizzano le macchine dei cereali), con un evidente
incremento di resa della coltura del cereale successivo.
Sono ottime anche nell’impiego zootecnico, poiché hanno un elevato valore
nutrizionale, una presenza ridotta di fattori antinutrizionali e un basso
rischio di contaminazioni fungine. Tuttavia, tali caratteristiche non sono
state sufficienti ad affermarne la coltivazione in Italia.
Le ragioni di un insuccesso
Le ragioni vanno ricercate nella scarsa convenienza economica, soprattutto
nei terreni fertili della Pianura Padana, in quanto la bassa produttività
per ettaro combinata a prezzi di mercato contenuti si traduce in un margine
operativo molto lontano rispetto a quello delle colture concorrenti come la
soia.
In particolare, in un’azienda di medio-grandi dimensioni (oltre 20 ha) a
parità di costi variabili, il margine lordo del pisello proteico si riduce
di oltre il 40% rispetto a quello della soia; con una remunerazione del
mercato simile a quella soia il differenziale si riduce del 20%.
Anche la recente revisione di medio termine della pac, pur riconoscendo i
vantaggi che possono comportare le proteaginose nel contenimento
dell’impatto ambientale attraverso l’introduzione di un aiuto specifico per
le colture proteiche pari a 55,57 euro/ha, non sembra in grado di far
decollare queste colture, specialmente nelle aree più fertili del Paese.
Le prospettive delle leguminose da granella sembrano quindi legate a una
ripresa dell’interesse da parte degli operatori zootecnici per incrementare
le disponibilità di proteine di origine vegetale, al fine di superare i
problemi inerenti alla qualità della soia e alle sue fluttuazioni dei prezzi
di mercato. In particolare, a livello comunitario desta preoccupazione
l’insicurezza alimentare derivante dalla ridotta autosufficienza di proteine
vegetali degli allevamenti (37%).
Parallelamente, risulta sempre più stringente la necessità di garantire la
tracciabilità alle filiere alimentari e agrozootecniche, specialmente sulle
importazioni di soia gm.
Tutto ciò rende auspicabile che anche in Italia, come già avvenuto nel resto
d’Europa, vi sia un incremento della produzione delle proteaginose,
favorendo così una maggiore integrazione tra produzioni vegetali e
zootecniche; fattore indispensabile per le filiere orientate alle produzioni
tipiche, biologiche, di qualità e/o con elevate caratteristiche di
tracciabilità.
Un futuro rilancio
Le colture proteiche maggiormente coinvolte in questo periodo di rilancio
saranno soprattutto quelle non irrigue a ciclo autunno-primaverile; specie
che comunque rientrano nell’incentivo comunitario e la cui coltivazione
risulta adatta anche in Italia settentrionale.
Infine, per rendere economicamente convenienti queste colture, sarà
indispensabile quantificarne il livello di adattamento con riferimento ai
materiali più recenti disponibili sul mercato, per identificare le specie e
le varietà capaci di massimizzare le produzioni.
D’altra parte questi fattori non sembrano ancora in grado di assicurare la
convenienza di tali colture, la cui coltivazione resta per ora limitata ad
ambiti territoriali specifici o a zone con limitate disponibilità irrigue.
Per contro, nelle aree dell’Italia centrale, dove l’applicazione della nuova
revisione di medio termine della pac ha fortemente penalizzato il grano
duro, il pisello proteico potrebbe essere rivalutato non solo per le sue
proprietà agronomiche, ma anche come fonte di integrazione del reddito
aziendale.
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