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L'Informatore Agrario

Sommario rivista

Approfondimento

   
39
 13-19 Ott.

  2006
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Attualità POLITICA

I guai per lo zucchero non finiscono mia

Possibili nuovi tagli della quota produttiva

La Commissione ha allo studio un ulteriore taglio. Con il meccanismo del «ritiro» l’Italia perderebbe un altro 6%, cioè 50.000 tonnellate da riportare al 2007, ma la prospettiva può solo peggiorare

Tra i settori in «crisi di identità» dopo la riforma Fischler, quello dello zucchero sta attraversando il suo momento più delicato. In questa sede ripercorriamo alcune tappe.
L’origine della nuova pac
Nel 2003 la Commissione scopre le proprie carte e si dichiara a favore di una riforma confezionata nello spirito della nuova pac, con riduzione drastica dei prezzi, aiuti disaccoppiati ed effetti selettivi per la filiera dei diversi Stati membri, a forte divario di competitività.
L’allora ministro Gianni Alemanno, in coerenza con l’orientamento già emerso in analoghe occasioni, accetta di fatto la linea della Commissione e imposta il negoziato di riforma puntando a ottenere deroghe in tema di aiuti che possano aiutare l’Italia − dopo una prima, drastica, cura dimagrante − a sopravvivere e a migliorare i rendimenti in vista della conclusione della fase transitoria di applicazione del nuovo regolamento e dei relativi aiuti.
Il risultato negoziale ottenuto dal ministro Alemanno viene salutato come il minore dei mali possibili, ma ad alcuni non sfuggono le malformazioni congenite del nuovo sistema normativo e, in particolare, i rischi derivanti all’Italia dai meccanismi di regolazione del mercato comunitario, dai quali il nostro Paese non viene esentato.
Alla luce di queste premesse, chi a suo tempo sollevò il problema di tali malformazioni rischia oggi di passare per buon profeta.
La Commissione Ue ha infatti accelerato le verifiche e sta accarezzando l’idea di un intervento di riequilibrio del mercato attraverso il meccanismo di «ritiro» di quota per la campagna 2006-07, nonostante la riduzione del 14% circa già effettuata preventivamente a marzo (con esclusione peraltro dell’Italia, per via della cessione volontaria del 50% precedentemente adottata).
La decisione, qualora fosse assunta in occasione del Comitato di gestione del 19 ottobre prossimo, potrebbe fissare il futuro ritiro nella misura del 6% almeno. Le imprese italiane, questa volta non esentabili, sarebbero costrette a riportare al 2007 circa 50.000 t di produzione della campagna 2006. Il riporto, a sua volta, si tradurrebbe in un minor spazio produttivo per la prossima campagna 2007 (oltre ai minori prezzi percepibili dallo zucchero e dalle bietole relative).
Riflessioni critiche
Quanto sta accadendo induce ad alcune riflessioni.
Innanzitutto sull’efficacia della nuova ocm come fattore di equilibrio del mercato europeo. Il Fondo di ristrutturazione ha funzionato poco e solo Irlanda, Italia, Portogallo, Spagna e Svezia (vedi tabella) hanno ceduto quantità significative di contingente; per converso, i Paesi più performanti stanno addirittura acquistando quota supplementare (Francia, Germania e Polonia).
Questo mezzo fiasco ha colto di sorpresa la Commissione.
Una seconda riflessione riguarda lo scenario di prospettiva. Il ritiro del 20% di quota nel 2006 (14% circa preventivo, più 6% in cantiere) rappresenta un riporto produttivo di eguale entità al 2007, campagna per la quale non vi sono avvisaglie né di cessioni volontarie di quota (anzi, il contrario!), né di riduzioni di produzione da parte dei Paesi forti.
Con queste premesse si ricreano tutte le condizioni per un nuovo «ritiro» nel 2007, del tutto analogo a quello imposto per il 2006.
Si innescherebbe così un fattore domino, che si ripeterebbe nelle campagne successive (con l’aggravante delle crescenti importazioni dai Pma, Paesi meno avanzati, a dazio ridotto) fino al 2010, quando si deciderà il riallineamento (leggere «taglio») definitivo dei contingenti nazionali.
Ne consegue che la riforma zucchero diventa in realtà una sorta di nodo scorsoio alla gola dei Paesi meno favoriti, per via delle aggressive politiche commerciali dei grandi produttori europei.
Il fenomeno era previsto (da alcuni); stupisce semmai la sua velocizzazione. Tutto ciò conferma la critica a una riforma impostata su una solidarietà impropria, dove la componente più debole è chiamata a partecipare al sostegno di quella più forte; il che dovrebbe risultare incompatibile con i dettati Wto.
Per chiudere con una nota di colore, sembra che l’interprofessione francese sia intenzionata a ricorrere alla Corte di giustizia europea contro la presunta illegittimità di taluni aspetti legati all’aquisto (730 euro/t) di quota suppletiva da parte dei Paesi eccedentari, un tempo esportatori di C2. Nulla da dire sul diritto di difesa dei propri interessi, ma il fatto è rivelatore dell’aggressività della politica francese per il settore, di fronte alla quale risalta negativamente il fatalismo a suo tempo assunto da quella italiana.
Conseguenza per il programma Italia
Ciò che sta succedendo sul piano comunitario rischia di minare alla base il progetto nazionale per la sostenibilità del settore.
Il ministro Paolo De Castro, alle prese con la difficile gestione dell’«eredità Alemanno» e con la problematica riconversione degli ex zuccherifici verso l’agroenergia, ha invitato tutti gli attori della filiera a rispettare i propri impegni.
Per quanto lo concerne, sta difendendo nel progetto di Finanziaria 2007 lo stanziamento di oltre 65 milioni di euro da versare come aiuti accoppiati alla aziende agricole e industriali; chiede però in cambio agli operatori di fare la loro parte.
Ai bieticoltori De Castro chiede di progredire nei rendimenti e di assicurare un adeguato approvvigionamento di materia prima agli impianti.
Alle imprese saccarifere invece spetta l’impegno di progettare un futuro con tutti i sei zuccherifici in funzione.
Su questo punto centrale si scaricano tuttavia le conseguenze dei tagli comunitari alle quote di oggi e di domani.
Se infatti il Paese dovesse vedersi colpito da una riduzione del contingente negli anni a venire, la quota media per ciascun zuccherificio si ridurrebbe rispetto alle 120-130.000 t/fabbrica ritenute necessarie a ridurre i costi e a tenere in equilibrio i bilanci.
La minore disponibilità di quota per zuccherificio imporrebbe una riduzione dei livelli produttivi di ciascun impianto, con stravolgimento della logica del «Piano di razionalizzazione» governativo dello scorso marzo, impostato sulla riduzione dei costi unitari attraverso l’aumento di potenzialità e la realizzazione delle 753.000 t di quota zucchero nei sei zuccherifici rimasti.
Domanda (retorica): se la logica economica del Piano viene a cadere, quale attendibilità potrà avere l’obiettivo del mantenimento in vita dei sei zuccherifici?
Le imprese saccarifere in particolare dovrebbero esprimersi su un tema così centrale; ma per adesso tutto tace. Così come tutto tace dalle parti del Ministero dove, nonostante l’attenzione ai destini della filiera, il problema non sembra essere stato posto tra le priorità.
Ma se non si cerca la soluzione, l’appello del ministro De Castro per l’impegno di tutti sarà delegittimato per carenza di presupposti,
giuridici ed economici, oggettivi.

 

Sommario rivista

Carlo Biasco
Direttore generale Associazione nazionale bieticoltori



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