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I succhi di frutta e la legge del più forte |
L’industria lamenta i rincari della materia prima agricola per
spuntare prezzi di vendita migliori con la grande distribuzione. È
un’ulteriore conferma che senza un’interprofessione basata su nuovi rapporti
tra le parti il settore agricolo rischia di sparire
Verrebbe da dire «tanto rumore per nulla» leggendo la nota divulgata dai
produttori di succhi e bevande di frutta aderenti all’Aiipa-Confindustria in
merito agli aumenti del 30-60% dei prezzi pagati in questa campagna
produttiva agli agricoltori per l’acquisto della materia prima. Appaiono,
infatti, del tutto sproporzionate le forti preoccupazioni per l’impatto
negativo sulle aziende dell’intera filiera degli incrementi di prezzo che
nell’entità denunciata nella nota sono stati di fatto circoscritti al solo
mese di luglio e tenendo inoltre conto che la frutta non incide oltre il 10%
sul costo di produzione industriale. Ma i motivi dei «rumors» ci sono anche
se non sono causati, come potrebbe apparire da un’affrettata e superficiale
lettura della notizia, da guadagni speculativi riscossi dai produttori
ortofrutticoli nazionali.
Di fatto è avvenuto che il ritorno a livelli di normalità dei prezzi della
frutta, rispetto alla disastrosa annata precedente, ha posto le industrie
produttrici di fronte alla difficoltà di assorbire gli aumenti dei prezzi
dell’energia e dei materiali da imballo senza intaccare i margini del
settore.
Di qui l’allarme lanciato sulla sopravvivenza di una intera filiera
considerata vitale per il settore ortofrutticolo nazionale. Ma se la filiera
è l’ottica giusta per affrontare il problema, bisogna prima di tutto
preoccuparsi delle condizioni della sua sostenibilità economica, vale a dire
verificare se la catena del valore assicura un vantaggio competitivo nei
confronti della concorrenza e, successivamente, analizzare l’equità della
distribuzione dei profitti in relazione alle funzioni e ai rischi assunti
dai diversi soggetti che la compongono.
Non è questa la sede per svolgere una puntuale analisi economica in merito
alla competitività del settore, ma è sufficiente considerare alcuni aspetti
fondamentali per comprendere la sua vitalità. Innanzitutto il succo di
frutta rappresenta per caratteristiche dietetiche e facilità di consumo, sia
in ambito domestico sia in quello degli esercizi pubblici, un alimento
ideale per i moderni stili di vita e per tutte le classi d’età. In secondo
luogo, elevati standard qualitativi per il consumatore non sono
inconciliabili con l’utilizzazione di prodotti qualitativamente poco adatti
al consumo fresco e che quindi possono essere convenientemente venduti dai
produttori a prezzi più contenuti, anche se ovviamente non possono essere
inferiori ai prezzi di raccolta. Prezzi contenuti alla produzione non vuol
dire che non occorra una costante attenzione alla qualità. Ad esempio
rendendo conveniente il reimpianto di vecchie varietà di pesche a pasta
gialla, commercialmente superate per il consumo fresco, ma ancora
fondamentali, in opportune proporzioni, per conferire al prodotto finale le
caratteristiche di colore e fragranza apprezzate dal consumatore.
Altro aspetto qualitativo importante, soprattutto per l’infanzia, è il succo
a residuo zero, vale a dire con un contenuto di residui chimici non solo
inferiori agli standard di legge, ma addirittura sotto la percezione
dell’analisi strumentale.
Ma tutte queste buone ragioni e opportunità valgono poco se il valore
aggiunto della filiera non viene distribuito in modo da consentire a ciascun
operatore le condizioni di sopravvivenza.
Compongono la filiera frutticoltori, industrie di trasformazione,
rivenditori al dettaglio, tra i quali grande distribuzione e bar fanno la
parte del leone. Non occorrono molte parole per illustrare la sproporzione
delle forze in campo e per individuare il vaso di coccio tra i vasi di ferro
di manzoniana memoria. Rileggendo in questa ottica la nota dell’Aiipa sembra
evidente che, denunciando l’aumento dei prezzi di frutta, energia e
materiali da imballo, di fatto, pur senza nominarla, ci si rivolga alla
grande distribuzione, l’anello forte nel moderno sistema economico, per
contrattare più favorevoli condizioni di vendita.
Siamo di fronte a un mercato in cui le forze economiche sono talmente
sproporzionate che o il mercato si organizza o, a causa della scomparsa del
soggetto più debole, è destinato a fallire nella sua funzione.
I molteplici tentativi di intavolare trattative interprofessionali,
purtroppo, non hanno sortito fino al momento significativi risultati
pratici. Per la sopravvivenza del settore bisogna che l’intelligenza si
sostituisca alla legge di natura per la quale il pesce grande si mangia il
pesce piccolo.
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