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Il vino italiano si difende con il rigore |
Intervista al ministro Paolo De Castro
Nella riforma della legge 164/92, secondo il ministro delle politiche
agricole si dovrà definire l’affidamento del piano dei controlli di vini
vqprd a un ente terzo, come già avviene per i prodotti dop e igp
Quest’estate, e più precisamente il 4 agosto, il ministro
delle politiche agricole, alimentari e forestali Paolo De Castro firmò il
famoso decreto con il quale affidava il proseguimento dei controlli dei vini
vqprd (doc, docg) ai Consorzi di tutela con la «supervisione» dell’Istituto
centrale repressione frodi. Questo tema, molto delicato, che ha negli ultimi
anni scatenato numerose polemiche, come è stato ricordato dalla stesso
ministro De Castro, è uno dei cardini base sui quali costruire la riforma
della legge 164/92, la normativa più importante che regola tutto l’impianto
produttivo dei nostri vini a denominazione di origine.
Sul tema e, più in generale, su quali linee guida ci si muoverà per la
riforma della 164/92, abbiamo intervistato il ministro De Castro,
letteralmente immerso in questi giorni nella difficile definizione della
Finanziaria.
«Si è trattato di un decreto molto importante – spiega De Castro – in quanto
con esso si è voluto orientare anche il "sistema vino a denominazione" verso
il modello già in essere per le dop e igp basato sul sistema del controllo a
opera di organismi terzi e sulla vigilanza quale competenza dell’autorità
pubblica (scelta auspicata in questi giorni anche da alcune associazioni di
consumatori, n.d.r.».
Significa che i Consorzi di tutela stanno «traghettando» il piano controlli
nelle mani di un ente terzo?
Esattamente. Nella riforma della 164/92 si dovrà inserire l’articolo che
fissa la necessità di affidare a un ente terzo super partes il ruolo
di controllore. Per la credibilità del sistema, infatti, non è possibile che
il controllato sia anche controllore.
Verrebbe così eliminato per il vino il concetto di autocontrollo?
I Consorzi di tutela avranno sempre un ruolo di vigilanza e quindi dovranno
necessariamente collaborare con l’ente terzo scelto. E avranno un ruolo
preciso proprio nella scelta di questo ente al quale affidare il piano
controlli. In Piemonte, ad esempio, sono state individuate nelle Camere di
commercio gli enti ideali. Ma questo sarà definito caso per caso. Ci tengo
anche a precisare, per chi teme che vi sia una regionalizzazione dei
controlli con disparità tra Regione e Regione, che proprio il ruolo
dell’Istituto centrale repressione frodi consentirà una vigilanza nazionale
e un controllo dell’uniformità dei sistemi.
Nel quadro della riforma della 164/92, da tempo vi sono due schieramenti:
coloro che inneggiano a maggiori flessibilità e liberismo e altri, invece,
che richiedono ancora rigore e vincoli stretti nei disciplinari di
produzione. Qual è la sua posizione?
Per me è importante mantenere un corretto rigore. Per l’agroalimentare made
in Italy il vino è la punta di diamante che porta il peso anche
dell’immagine di tutto il nostro sistema delle produzioni tipiche di
qualità. Significa che non possiamo permetterci errori. Tutto deve essere
fatto all’insegna della massima trasparenza, tracciabilità e, appunto,
rigore.
Tra l’altro, va sottolineato come proprio il nostro impianto produttivo, la
famosa piramide delle produzioni (dai vini da tavola alle docg) consenta
flessibilità su alcune tipologie di prodotto (vini da tavola) e maggiore
rigore su altre (doc e docg). Ci rendiamo conto, infatti, che il mercato
internazionale e, soprattutto, i nostri competitor si muovono con regole ben
diverse rispetto alle nostre. Quindi è evidente che servono anche strumenti
per rendere le nostre imprese più competitive ma senza andare a stravolgere
le regole. Sono convinto che con gli strumenti attuali possiamo tutelare il
nostro made in Italy anche con maggiore flessibilità nei vini da tavola.
In quest’ultimo quadro si inseriscono anche le preoccupazioni riguardanti
l’ammissibilità di alcune pratiche enologiche, come la tanto dibattuta
autorizzazione ai trucioli. Qual è il suo pensiero al riguardo?
Se mi facesse la domanda secca «trucioli sì o no?», le risponderei subito di
no. Penso, però, che si debba fare un ragionamento più complesso. E in un
approccio più costruttivo penso che si possa risolvere il problema con una
maggiore trasparenza nell’etichettatura per quei vini che dichiarano
l’utilizzo della barrique.
Siamo quindi totalmente contrari all’utilizzo dei trucioli per i vini vqprd,
mentre per quanto riguarda le altre tipologie pensiamo, assieme a Francia e
Spagna, che la dizione in etichetta per i vini che fino a oggi dichiaravano
l’utilizzo dell’affinamento in legno sarebbe la soluzione più corretta e
rispettosa dei consumatori.
Il Consiglio europeo, comunque, si è pronunciato all’unanimità per
l’autorizzazione ai trucioli, come pure l’Oiv.
Consentendo, però, autonomia di scelta per ogni Paese membro. Inoltre, non
penso che su questi temi sia stata ancora detta una parola definitiva. Per
esempio, ascoltando molti colleghi di altri Paesi dell’Unione Europea, penso
che l’Ue in tema di pratiche enologiche potrebbe trovare soluzioni più
restrittive. Quello che è certo, anche in questo caso, è che noi dobbiamo
tutelare il più possibile l’immagine delle nostre produzioni di qualità.
Possiamo, invece, essere più «liberisti» per quei prodotti con i quali
dobbiamo essere più competitivi, rispetto a oggi, con i Paesi produttori del
Nuovo mondo.
Un’ultima battuta sulla riforma dell’ocm vino. La commissaria Fischer Boel
sembra risoluta nel voler modificare pochissimo l’attuale proposta. Quale la
posizione italiana?
Non sarei così pessimista. Su alcuni versanti, vedi per esempio lo
zuccheraggio, sarà difficile poter chiedere divieti assoluti dal momento che
ci troviamo di fronte ai Paesi nordeuropei compatti a chiederne il
mantenimento. Su altri aspetti, però, i Paesi mediterranei stanno facendo
fronte comune e non penso che la commissaria potrà rimanere sorda alle
nostre richieste.
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