 |
 |
Programmazione senza bussola |
Gli obiettivi delle risorse e degli strumenti messi a
disposizione degli agricoltori dai Piani di sviluppo rurale regionali sono
il risultato di convergenze casuali dell’incontro tra pubblico e privato. Si
rischia di sprecare un momento fondamentale per definire le scelte di
politica agraria
La riforma a medio termine della pac ha reso familiare
l’immagine dei due «pilastri»: il primo costituito dalle misure a sostegno
diretto dei redditi degli agricoltori (regolamento n. 1782/2003) e dalle
diverse ocm; il secondo formato dagli interventi di carattere strutturale,
ambientale e sociale per lo sviluppo rurale. Purtroppo, con questi due
pilastri l’architrave della pac è piuttosto sbilenco, perché il primo
assorbe da solo circa il 90% delle risorse. Finora ci si consolava
affermando che le misure dei due pilastri dovevano agire in sinergia perché
sviluppo rurale, ambiente, qualità e sicurezza alimentare sono i veri
obiettivi della riforma della pac, mentre il primo pilastro ha funzione
soprattutto strumentale per permettere il passaggio alla nuova agricoltura.
In questi giorni si può verificare però se Stato e Regioni, che sono i
referenti finali della realizzazione della riforma della pac, vogliono
veramente dare attuazione alle misure del primo e del secondo pilastro in
forma sinergica per raddrizzare un po’ l’architrave della pac.
Come è noto, entro la fine del 2006 devono essere approvati il Piano
strategico nazionale (Psn) e i 21 Programmi di sviluppo rurale (Psr) delle
nostre Regioni e Province autonome per dare attuazione nel periodo 2007-2013
alle misure previste dal regolamento n. 1698/2005 sul sostegno alla sviluppo
rurale, vale a dire, dare attuazione al secondo pilastro.
La prima considerazione che si può fare è che, malgrado si sia nel pieno del
lavoro per la redazione del Psn e dei Psr, non si vede nel mondo agricolo
quel dibattito vivace, talvolta persino sopra le righe, che ha
caratterizzato l’approvazione e poi l’attuazione del regolamento n.
1782/2003, le fondamenta del primo pilastro, e la connessa riforma delle
diverse ocm. Come sempre, tutti cercano di opporsi a quello che sembra ti
venga portato via (prezzi garantiti, compensazioni per ettaro, ecc.),
soprattutto se tocca direttamente la tua tasca, mentre non viene posta
sufficiente attenzione agli interventi di carattere strutturale, anche se
cospicui, perché questi richiedono sempre il tuo impegno e le tue risorse.
Questo atteggiamento, e non solo, ha concorso a decretare la fine ingloriosa
dell’esperienza di programmazione in agricoltura nel nostro Paese che risale
fino al Piano agricolo nazionale del ministro Giovanni Marcora e alla famosa
legge 984/77, la cosiddetta «Quadrifoglio». Più che alla programmazione, che
significa concertazione e condivisione di obiettivi, strumenti e risorse tra
pubblico e privato, nella prassi Stato e Regioni mettono a disposizione
risorse e strumenti, mentre gli obiettivi sono il risultato di convergenze
puramente casuali tra pubblico e privato. Se questa è la cultura della parte
agricola, anche l’Amministrazione pubblica (la burocrazia!) ha le sue colpe
perché, non essendo chiamata a rispondere del raggiungimento degli
obiettivi, si preoccupa di più dell’efficienza in termini di capacità di
spesa (quanto spende!), che della sua efficacia (come spende!), oltre che
del controllo formale del rispetto della norma.
Purtroppo si sta notando in molti dei nuovi Psr che, come qualcuno ha detto,
l’impostazione delle misure viene fatta «a menu», vale a dire il
beneficiario potrà scegliere liberamente tra i diversi tipi di intervento,
alla faccia delle raccomandazioni di integrazione tra misure e assi, di
territorializzazione degli interventi, di approccio per progetti e filiere,
contenute sia negli orientamenti strategici comunitari approvati dal
Consiglio sia nella proposta di Psn. Bisogna dire inoltre che le Regioni
hanno cercato di annacquare il più possibile il Psn, perché considerato
limitativo della loro autonomia, piuttosto che un necessario strumento di
coordinamento. Persino il IV asse, il metodo Leader, che la Commissione ha
affiancato agli altri (miglioramento della competitività del settore
agricolo; miglioramento dell’ambiente e dello spazio rurale, qualità della
vita nelle zone rurali e diversificazione dell’economia rurale), come
obiettivo e strumento orizzontale per realizzare la fase di partecipazione
dal basso e per creare un adeguato strumento di governance, non ha
sollecitato la fantasia di molte Regioni che, di fatto, tendono solo a
ripetere l’esperienza del Leader+, piuttosto che prevedere strumenti di
coordinamento con i diversi livelli di programmazione rappresentati da
Regioni, Province e Comunità montane. La redazione del Psn e dei 21 Psr non
deve essere considerata solo la condizione necessaria per accedere alle
risorse comunitarie per lo sviluppo rurale, ma un fondamentale momento di
definizione delle scelte di politica agraria nazionale e ragionale. Non
dobbiamo sprecarlo!
|