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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
   
32
 25-31 Ago.

  2006
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Editoriale

Programmazione senza bussola
Corrado Giacomini

Gli obiettivi delle risorse e degli strumenti messi a disposizione degli agricoltori dai Piani di sviluppo rurale regionali sono il risultato di convergenze casuali dell’incontro tra pubblico e privato. Si rischia di sprecare un momento fondamentale per definire le scelte di politica agraria

La riforma a medio termine della pac ha reso familiare l’immagine dei due «pilastri»: il primo costituito dalle misure a sostegno diretto dei redditi degli agricoltori (regolamento n. 1782/2003) e dalle diverse ocm; il secondo formato dagli interventi di carattere strutturale, ambientale e sociale per lo sviluppo rurale. Purtroppo, con questi due pilastri l’architrave della pac è piuttosto sbilenco, perché il primo assorbe da solo circa il 90% delle risorse. Finora ci si consolava affermando che le misure dei due pilastri dovevano agire in sinergia perché sviluppo rurale, ambiente, qualità e sicurezza alimentare sono i veri obiettivi della riforma della pac, mentre il primo pilastro ha funzione soprattutto strumentale per permettere il passaggio alla nuova agricoltura.
In questi giorni si può verificare però se Stato e Regioni, che sono i referenti finali della realizzazione della riforma della pac, vogliono veramente dare attuazione alle misure del primo e del secondo pilastro in forma sinergica per raddrizzare un po’ l’architrave della pac.
Come è noto, entro la fine del 2006 devono essere approvati il Piano strategico nazionale (Psn) e i 21 Programmi di sviluppo rurale (Psr) delle nostre Regioni e Province autonome per dare attuazione nel periodo 2007-2013 alle misure previste dal regolamento n. 1698/2005 sul sostegno alla sviluppo rurale, vale a dire, dare attuazione al secondo pilastro.
La prima considerazione che si può fare è che, malgrado si sia nel pieno del lavoro per la redazione del Psn e dei Psr, non si vede nel mondo agricolo quel dibattito vivace, talvolta persino sopra le righe, che ha caratterizzato l’approvazione e poi l’attuazione del regolamento n. 1782/2003, le fondamenta del primo pilastro, e la connessa riforma delle diverse ocm. Come sempre, tutti cercano di opporsi a quello che sembra ti venga portato via (prezzi garantiti, compensazioni per ettaro, ecc.), soprattutto se tocca direttamente la tua tasca, mentre non viene posta sufficiente attenzione agli interventi di carattere strutturale, anche se cospicui, perché questi richiedono sempre il tuo impegno e le tue risorse. Questo atteggiamento, e non solo, ha concorso a decretare la fine ingloriosa dell’esperienza di programmazione in agricoltura nel nostro Paese che risale fino al Piano agricolo nazionale del ministro Giovanni Marcora e alla famosa legge 984/77, la cosiddetta «Quadrifoglio». Più che alla programmazione, che significa concertazione e condivisione di obiettivi, strumenti e risorse tra pubblico e privato, nella prassi Stato e Regioni mettono a disposizione risorse e strumenti, mentre gli obiettivi sono il risultato di convergenze puramente casuali tra pubblico e privato. Se questa è la cultura della parte agricola, anche l’Amministrazione pubblica (la burocrazia!) ha le sue colpe perché, non essendo chiamata a rispondere del raggiungimento degli obiettivi, si preoccupa di più dell’efficienza in termini di capacità di spesa (quanto spende!), che della sua efficacia (come spende!), oltre che del controllo formale del rispetto della norma.
Purtroppo si sta notando in molti dei nuovi Psr che, come qualcuno ha detto, l’impostazione delle misure viene fatta «a menu», vale a dire il beneficiario potrà scegliere liberamente tra i diversi tipi di intervento, alla faccia delle raccomandazioni di integrazione tra misure e assi, di territorializzazione degli interventi, di approccio per progetti e filiere, contenute sia negli orientamenti strategici comunitari approvati dal Consiglio sia nella proposta di Psn. Bisogna dire inoltre che le Regioni hanno cercato di annacquare il più possibile il Psn, perché considerato limitativo della loro autonomia, piuttosto che un necessario strumento di coordinamento. Persino il IV asse, il metodo Leader, che la Commissione ha affiancato agli altri (miglioramento della competitività del settore agricolo; miglioramento dell’ambiente e dello spazio rurale, qualità della vita nelle zone rurali e diversificazione dell’economia rurale), come obiettivo e strumento orizzontale per realizzare la fase di partecipazione dal basso e per creare un adeguato strumento di governance, non ha sollecitato la fantasia di molte Regioni che, di fatto, tendono solo a ripetere l’esperienza del Leader+, piuttosto che prevedere strumenti di coordinamento con i diversi livelli di programmazione rappresentati da Regioni, Province e Comunità montane. La redazione del Psn e dei 21 Psr non deve essere considerata solo la condizione necessaria per accedere alle risorse comunitarie per lo sviluppo rurale, ma un fondamentale momento di definizione delle scelte di politica agraria nazionale e ragionale. Non dobbiamo sprecarlo!
 

Sommario rivista Corrado Giacomini


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