 |
 |
Fare lobby secondo De Castro |
La tutela degli interessi degli agricoltori va riorganizzata, sia a
livello nazionale, sia ancor più in sede europea, secondo schemi e
comportamenti diversi dal passato. Ne è fermamente convinto il ministro
delle politiche agricole che chiede alle organizzazioni di rappresentanza
agricole di prendere coscienza di questa realtà
Per lobby si intende un gruppo di pressione organizzato teso
a ottenere fini economici utili all’attività dei propri membri. Esistono
altre definizioni, ma questa inventata lì per lì serve ai nostri fini.
Il termine lobby deriva dal gruppo di persone che stazionavano, nella sala
d’ingresso, in inglese lobby, adiacente alla Camera dei Comuni di
Londra, pronti a perorare le proprie cause. Nel settore agricolo sono lobby
Coldiretti, Confagricoltura, Cia e numerose altre sigle, anche se a loro non
piace sentirselo dire.
Queste organizzazioni fanno molte altre cose, ma lo scopo per cui gli
agricoltori pagano una quota associativa è questo, ovvero che qualcuno
difenda o porti avanti i loro interessi.
La lobby agricola italiana è stata potentissima, esprimeva quasi 60 deputati
negli anni Sessanta, condizionava i Governi e in cambio ne riceveva favori.
Una grande organizzazione economica, la Federconsorzi, era al suo servizio.
Una peculiarità della lobby agricola italiana fu quella di privilegiare
politiche sociali e posizioni di rendita: pensioni, imposte di registro meno
care, diritti di prelazione, ecc. Più che una lobby, una corporazione a
scapito delle imprese. Questa è ormai storia.
La crisi di identità della lobby agricola italiana inizia con l’avvento
della politica agricola comune, la pac. All’inizio essa la trascurò, dopo ci
fu poco da fare. Per decenni fu una rincorsa, non sempre di successo.
Comunque, anche questa è storia. Chi di recente ha detto veramente della
cose nuove e forse straordinarie sulle lobby è stato il ministro Paolo De
Castro il 7 luglio scorso all’assemblea della Confagricoltura a Roma.
Il ministro, a parte considerazioni su politiche contingenti, come il
riparto dei fondi dell’articolo 69 su cui non siamo per nulla d’accordo, ha
fatto una lunga disamina su come oggi si deve fare lobby.
Naturalmente questa parola non è stata mai nominata. Sono state descritte
dapprima le forze in campo in Europa. Molti dei Paesi nordici sono contrari
alla pac, alcuni covano addirittura l’obiettivo di azzerarla del tutto.
Poi abbiamo il gruppo dei Paesi ambientalisti, ovvero quelli che sostengono
la fine delle politiche agricole, chiamiamole produttive, per usare
finalmente i fondi agricoli per l’ambiente in senso stretto. A quanto pare
di «agricoli» duri e puri ne sono rimasti ben pochi, alla luce del sole: in
pratica, solo la Francia e, in bilico, la Germania.
De Castro non ha detto dove sta l’Italia, forse vuole sentire cosa pensano o
vogliono gli agricoltori.
Il Consiglio dei ministri europeo è fatto da 25 membri. Tra poco saranno 27.
Alle riunioni del Consiglio dei ministri non si capisce letteralmente nulla,
sia per il problema della traduzioni, sia per il numero dei presenti.
Pertanto non si possono fare accordi in quella sede come ai bei tempi. La
politica, mitica, del ministro Giovanni Marcora del pugno sul tavolo, non si
può fare. Non chiedetemelo, dice il ministro.
I vari giochetti di piccoli gruppi, le lettere, le petizioni, i ricorsi
legali di singoli portatori di interesse a Bruxelles (ma era sottinteso
anche a Roma) non servono a nulla, se non a provocare il blocco del
provvedimento. Non parliamo poi delle proposte di legge elaborate in qualche
stanzetta, o magari davanti a prelibatezze culinarie di un ristorante belga.
Tutto ciò non serve più.
Il colloquio del ministro è stato estremamente amicale, friendly, per
essere alla moda, ma il messaggio è chiaro. Le organizzazioni
rappresentative, i sindacati agricoli, le lobby, devono rendersi conto che
in questa visuale il vecchio sistema non funziona. I colpi di mano, il
provvedimento pirata, sono impossibili da ottenere.
Nel 2008 si attende una revisione, molto pericolosa, della pac, per non
parlare dei provvedimenti di abbattimento dei dazi in sede
dell’Organizzazione mondiale del commercio. Le lobby devono perciò elaborare
altre strategie.
Nell’attuale scenario, la difesa della qualità (solo su giornali e
televisione), le dop di nome e non di fatto, citare la qualità in
continuazione, ma non venderla, sono azioni di lobby, non per i produttori,
ma solo per gli apparati delle organizzazioni. Naturalmente il ministro non
ha detto tutto questo.
Concludendo, De Castro ha offerto collaborazione, ma ha chiesto che i
difensori degli interessi costituiti, le lobby, si orientino, si
riorganizzino, capiscano il nuovo schema di lavoro rendendogli più facile il
lavoro.
Jacques Chirac, quando fu ministro dell’agricoltura francese, si schierò a
interprete e forte sostenitore degli interessi reali di un ceto produttivo
nazionale. Vedremo, forse ci siamo.
|