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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
 
30
 21-27 Lug.

  2006
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Editoriale

Fare lobby secondo De Castro
Antonio Piccinini

La tutela degli interessi degli agricoltori va riorganizzata, sia a livello nazionale, sia ancor più in sede europea, secondo schemi e comportamenti diversi dal passato. Ne è fermamente convinto il ministro delle politiche agricole che chiede alle organizzazioni di rappresentanza agricole di prendere coscienza di questa realtà

Per lobby si intende un gruppo di pressione organizzato teso a ottenere fini economici utili all’attività dei propri membri. Esistono altre definizioni, ma questa inventata lì per lì serve ai nostri fini.
Il termine lobby deriva dal gruppo di persone che stazionavano, nella sala d’ingresso, in inglese lobby, adiacente alla Camera dei Comuni di Londra, pronti a perorare le proprie cause. Nel settore agricolo sono lobby Coldiretti, Confagricoltura, Cia e numerose altre sigle, anche se a loro non piace sentirselo dire.
Queste organizzazioni fanno molte altre cose, ma lo scopo per cui gli agricoltori pagano una quota associativa è questo, ovvero che qualcuno difenda o porti avanti i loro interessi.
La lobby agricola italiana è stata potentissima, esprimeva quasi 60 deputati negli anni Sessanta, condizionava i Governi e in cambio ne riceveva favori. Una grande organizzazione economica, la Federconsorzi, era al suo servizio. Una peculiarità della lobby agricola italiana fu quella di privilegiare politiche sociali e posizioni di rendita: pensioni, imposte di registro meno care, diritti di prelazione, ecc. Più che una lobby, una corporazione a scapito delle imprese. Questa è ormai storia.
La crisi di identità della lobby agricola italiana inizia con l’avvento della politica agricola comune, la pac. All’inizio essa la trascurò, dopo ci fu poco da fare. Per decenni fu una rincorsa, non sempre di successo. Comunque, anche questa è storia. Chi di recente ha detto veramente della cose nuove e forse straordinarie sulle lobby è stato il ministro Paolo De Castro il 7 luglio scorso all’assemblea della Confagricoltura a Roma.
Il ministro, a parte considerazioni su politiche contingenti, come il riparto dei fondi dell’articolo 69 su cui non siamo per nulla d’accordo, ha fatto una lunga disamina su come oggi si deve fare lobby.
Naturalmente questa parola non è stata mai nominata. Sono state descritte dapprima le forze in campo in Europa. Molti dei Paesi nordici sono contrari alla pac, alcuni covano addirittura l’obiettivo di azzerarla del tutto.
Poi abbiamo il gruppo dei Paesi ambientalisti, ovvero quelli che sostengono la fine delle politiche agricole, chiamiamole produttive, per usare finalmente i fondi agricoli per l’ambiente in senso stretto. A quanto pare di «agricoli» duri e puri ne sono rimasti ben pochi, alla luce del sole: in pratica, solo la Francia e, in bilico, la Germania.
De Castro non ha detto dove sta l’Italia, forse vuole sentire cosa pensano o vogliono gli agricoltori.
Il Consiglio dei ministri europeo è fatto da 25 membri. Tra poco saranno 27. Alle riunioni del Consiglio dei ministri non si capisce letteralmente nulla, sia per il problema della traduzioni, sia per il numero dei presenti. Pertanto non si possono fare accordi in quella sede come ai bei tempi. La politica, mitica, del ministro Giovanni Marcora del pugno sul tavolo, non si può fare. Non chiedetemelo, dice il ministro.
I vari giochetti di piccoli gruppi, le lettere, le petizioni, i ricorsi legali di singoli portatori di interesse a Bruxelles (ma era sottinteso anche a Roma) non servono a nulla, se non a provocare il blocco del provvedimento. Non parliamo poi delle proposte di legge elaborate in qualche stanzetta, o magari davanti a prelibatezze culinarie di un ristorante belga. Tutto ciò non serve più.
Il colloquio del ministro è stato estremamente amicale, friendly, per essere alla moda, ma il messaggio è chiaro. Le organizzazioni rappresentative, i sindacati agricoli, le lobby, devono rendersi conto che in questa visuale il vecchio sistema non funziona. I colpi di mano, il provvedimento pirata, sono impossibili da ottenere.
Nel 2008 si attende una revisione, molto pericolosa, della pac, per non parlare dei provvedimenti di abbattimento dei dazi in sede dell’Organizzazione mondiale del commercio. Le lobby devono perciò elaborare altre strategie.
Nell’attuale scenario, la difesa della qualità (solo su giornali e televisione), le dop di nome e non di fatto, citare la qualità in continuazione, ma non venderla, sono azioni di lobby, non per i produttori, ma solo per gli apparati delle organizzazioni. Naturalmente il ministro non ha detto tutto questo.
Concludendo, De Castro ha offerto collaborazione, ma ha chiesto che i difensori degli interessi costituiti, le lobby, si orientino, si riorganizzino, capiscano il nuovo schema di lavoro rendendogli più facile il lavoro.
Jacques Chirac, quando fu ministro dell’agricoltura francese, si schierò a interprete e forte sostenitore degli interessi reali di un ceto produttivo nazionale. Vedremo, forse ci siamo.
 

Sommario rivista Antonio Piccinini


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