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Bioenergie tra sogni e mercato |
Se appare dubbia la redditività di
coltivazioni destinate alla trasformazione in bioetanolo e biodiesel,
decisamente più interessante appare la produzione di energia elettrica da
biogas, attività dove però non sono da sottovalutare i fattori di rischio
Tra le diverse opzioni di produzione finalizzate alla
filiera energetica, l’alternativa più semplice, per l’imprenditore agricolo,
è quella delle coltivazioni destinate alla trasformazione in bioetanolo e
biodiesel. Si tratta di un’attività da svolgere sotto contratto,
analogamente a quanto avviene per pomodori, barbabietole o altre colture. Lo
sviluppo di tali coltivazioni è però nelle mani del settore petrolifero, che
se da un lato può essere spinto dalla normativa verso determinate scelte,
dall’altro acquista materia prima utile cercando di minimizzare il costo per
unità di energia producibile. Se tali aziende possono acquistare il prodotto
più convenientemente all’estero, appare difficile immaginare quali
caratteristiche qualitative particolari dovrebbe avere la materia prima
italiana per essere preferita a quella a più basso costo.
Detto questo vorrei richiamare l’attenzione degli agricoltori su un altro
aspetto importante: la produzione di biogas e la sua trasformazione in
energia elettrica e calore.
Questa possibilità è legata alla disponibilità di sostanza secca da
impiegare, che può provenire da biomasse vegetali (escludiamo per il momento
le biomasse di origine forestale, che peraltro sembrano iniziare a fornire
importanti spunti di valutazione, almeno nelle condizioni pedoclimatiche
della Pianura Padana) e/o da deiezioni zootecniche.
L’esperienza maturata in alcuni Paesi (Germania e Austria in particolare),
dove sono ormai attivi oltre 4.000 impianti, ubicati presso singole imprese
agricole, talvolta gestiti in forma associata, consente oggi alle imprese
produttrici di offrire impianti di taglia diversa, adatti alle differenti
materie prime, operanti con tecnologie diversificate. L’interesse principale
è verso un impianto che produce energia elettrica vendibile, nell’ipotesi
che l’energia termica disponibile sia impiegata per usi interni.
Le opportunità per l’impresa agricola sembrano notevoli; infatti impianti di
dimensioni contenute, realizzabili in aziende con allevamento zootecnico
(500 capi bovini, 5.000 suini), o con almeno 100 ha destinabili alla
produzione di silomais, garantiscono sulla carta una redditività eccellente,
grazie a un prezzo sostenuto (per 12 anni) dai certificati verdi, da una
materia prima (nel caso degli allevamenti) senza costo, dai robusti
contributi finanziari delle Regioni.
Anche sul piano fiscale l’attività si è fatta interessante, grazie al fatto
che questa produzione viene considerata agricola e quindi i proventi
rientrano nel reddito agrario. Inoltre, fra alcuni anni saranno
probabilmente vendibili, anche sul mercato italiano, i certificati di
emissione della CO2 che consentiranno un introito supplementare.
Bisogna però valutare con attenzione quali rischi di natura tecnica e di
mercato si assume l’impresa. Parlando dei primi, è necessario ricordare che
l’impianto di trasformazione gestisce un processo biotecnologico: il governo
della flora contenuta nel digestore è indispensabile per consentire una
buona efficienza. Vi sono infatti tre aree di potenziale variabilità dei
rendimenti, legate al contenuto di sostanza secca (solidi volatili) della
materia prima, al rendimento in biogas e al contenuto in metano del biogas.
Il campo di variazione dei parametri citati è talmente ampio da trasformare
un ottimo investimento in un pessimo affare!
I rischi di mercato poi non devono essere dimenticati: anche se la
prospettiva appare molto favorevole nel medio termine, non bisogna scordare
che solo grazie all’attuale politica economica europea per le energie pulite
si determina un prezzo di vendita pari a circa 2,5 volte il prezzo di
mercato per le altre fonti energetiche tradizionali. Questo rischio può
essere in parte ridotto in presenza di elevati consumi aziendali di energia
elettrica, con un impianto di questo tipo si diventa infatti autoconsumatori,
azzerando l’acquisto di energia elettrica dal mercato.
Inoltre, un’impresa agricola che intende produrre biomasse vegetali e
investire nell’impianto assume una posizione molto rigida relativamente alle
strategie di utilizzo del terreno per i successivi 10-15 anni.
Sotto il profilo strategico, l’investimento appare più interessante per le
imprese zootecniche che utilizzano un sottoprodotto come materia prima, e
che in diversi casi sono ormai costrette ad avere un impianto di
depurazione, funzione che sarebbe svolta dal digestore dell’impianto.
E' quindi fondamentale analizzare con cura la decisione di un investimento
particolare come questo: se da un lato, infatti, sono numerosi gli elementi
positivi, non devono però essere trascurati i fattori di rischio, per
gestirli nel modo più corretto.
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