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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
 
24
 9-15 Giu.

  2006
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Editoriale

Bioenergie tra sogni e mercato
Paolo Giacomelli

Se appare dubbia la redditività di coltivazioni destinate alla trasformazione in bioetanolo e biodiesel, decisamente più interessante appare la produzione di energia elettrica da biogas, attività dove però non sono da sottovalutare i fattori di rischio

Tra le diverse opzioni di produzione finalizzate alla filiera energetica, l’alternativa più semplice, per l’imprenditore agricolo, è quella delle coltivazioni destinate alla trasformazione in bioetanolo e biodiesel. Si tratta di un’attività da svolgere sotto contratto, analogamente a quanto avviene per pomodori, barbabietole o altre colture. Lo sviluppo di tali coltivazioni è però nelle mani del settore petrolifero, che se da un lato può essere spinto dalla normativa verso determinate scelte, dall’altro acquista materia prima utile cercando di minimizzare il costo per unità di energia producibile. Se tali aziende possono acquistare il prodotto più convenientemente all’estero, appare difficile immaginare quali caratteristiche qualitative particolari dovrebbe avere la materia prima italiana per essere preferita a quella a più basso costo.
Detto questo vorrei richiamare l’attenzione degli agricoltori su un altro aspetto importante: la produzione di biogas e la sua trasformazione in energia elettrica e calore.
Questa possibilità è legata alla disponibilità di sostanza secca da impiegare, che può provenire da biomasse vegetali (escludiamo per il momento le biomasse di origine forestale, che peraltro sembrano iniziare a fornire importanti spunti di valutazione, almeno nelle condizioni pedoclimatiche della Pianura Padana) e/o da deiezioni zootecniche.
L’esperienza maturata in alcuni Paesi (Germania e Austria in particolare), dove sono ormai attivi oltre 4.000 impianti, ubicati presso singole imprese agricole, talvolta gestiti in forma associata, consente oggi alle imprese produttrici di offrire impianti di taglia diversa, adatti alle differenti materie prime, operanti con tecnologie diversificate. L’interesse principale è verso un impianto che produce energia elettrica vendibile, nell’ipotesi che l’energia termica disponibile sia impiegata per usi interni.
Le opportunità per l’impresa agricola sembrano notevoli; infatti impianti di dimensioni contenute, realizzabili in aziende con allevamento zootecnico (500 capi bovini, 5.000 suini), o con almeno 100 ha destinabili alla produzione di silomais, garantiscono sulla carta una redditività eccellente, grazie a un prezzo sostenuto (per 12 anni) dai certificati verdi, da una materia prima (nel caso degli allevamenti) senza costo, dai robusti contributi finanziari delle Regioni.
Anche sul piano fiscale l’attività si è fatta interessante, grazie al fatto che questa produzione viene considerata agricola e quindi i proventi rientrano nel reddito agrario. Inoltre, fra alcuni anni saranno probabilmente vendibili, anche sul mercato italiano, i certificati di emissione della CO2 che consentiranno un introito supplementare.
Bisogna però valutare con attenzione quali rischi di natura tecnica e di mercato si assume l’impresa. Parlando dei primi, è necessario ricordare che l’impianto di trasformazione gestisce un processo biotecnologico: il governo della flora contenuta nel digestore è indispensabile per consentire una buona efficienza. Vi sono infatti tre aree di potenziale variabilità dei rendimenti, legate al contenuto di sostanza secca (solidi volatili) della materia prima, al rendimento in biogas e al contenuto in metano del biogas. Il campo di variazione dei parametri citati è talmente ampio da trasformare un ottimo investimento in un pessimo affare!
I rischi di mercato poi non devono essere dimenticati: anche se la prospettiva appare molto favorevole nel medio termine, non bisogna scordare che solo grazie all’attuale politica economica europea per le energie pulite si determina un prezzo di vendita pari a circa 2,5 volte il prezzo di mercato per le altre fonti energetiche tradizionali. Questo rischio può essere in parte ridotto in presenza di elevati consumi aziendali di energia elettrica, con un impianto di questo tipo si diventa infatti autoconsumatori, azzerando l’acquisto di energia elettrica dal mercato.
Inoltre, un’impresa agricola che intende produrre biomasse vegetali e investire nell’impianto assume una posizione molto rigida relativamente alle strategie di utilizzo del terreno per i successivi 10-15 anni.
Sotto il profilo strategico, l’investimento appare più interessante per le imprese zootecniche che utilizzano un sottoprodotto come materia prima, e che in diversi casi sono ormai costrette ad avere un impianto di depurazione, funzione che sarebbe svolta dal digestore dell’impianto.
E' quindi fondamentale analizzare con cura la decisione di un investimento particolare come questo: se da un lato, infatti, sono numerosi gli elementi positivi, non devono però essere trascurati i fattori di rischio, per gestirli nel modo più corretto.

 

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