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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
 
17
 21-27 Apr.

  2006
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Editoriale

Ricerca agricola condizionata
Vittorio A. Gallerani

Non c’è la completa consapevolezza degli effetti dovuti alla limitazione del campo d’azione della ricerca, ad esempio escludendo di fatto a priori gli organismi geneticamente modificati. Il mondo politico dovrebbe dare più ascolto agli uomini di scienza riconosciuti a livello internazionale 

Mi è recentemente capitato di assistere a un confronto tra le scienze mediche e quelle agrarie a proposito delle nuove frontiere della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica. La rappresentante della prima area scientifica, una giovane ricercatrice con già alle spalle una solida esperienza in un prestigiosa università statunitense, seppe con molta efficacia illustrare le sofisticate tecnologie per la clonazione delle cellule staminali, mediante le quali il centro di ricerca italiano da lei diretto era in grado di ricostruire interi tessuti e quindi risolvere definitivamente gravi problemi sanitari fino ad oggi considerati incurabili.
A rappresentare l’area delle scienze agrarie era stato chiamato un brillante uomo di marketing, che seppe affascinare l’uditorio declamando con convinzione il pregio dei tanti prodotti alimentari della nostra agricoltura tradizionale, la cui moderna riproposizione, mediante l’uso di svariate etichette (dop, doc, igp, ecc.) veniva indicata come la nuova frontiera della ricerca. Non si sottrasse nemmeno dall’affrontare lo spinoso problema dell’uso degli organismi geneticamente modificati. A questo proposito, per convincere l’uditorio gli fu sufficiente snocciolare con molta sicurezza la sequela di postulati (luoghi comuni?) di quello che ormai può, a buon diritto, denominarsi «pensiero unico agricolo italiano»:
- applicazione oltre ogni limite di ragionevolezza del principio di precauzione, secondo il quale sembrerebbe preferibile rischiare una probabile grave e irreversibile disfunzione del fegato o del cuore alimentandosi con un prodotto tradizionale, specie se biologico, piuttosto che correre un seppur improbabile rischio di lieve e reversibile danno per ingestione di un prodotto ogm;
- radicale opposizione alla diffusione nell’ambiente di organismi geneticamente modificati, fatta passare con la contraddittoria formula della «coesistenza»;
- assoluta ostilità a qualsiasi sfruttamento commerciale dei prodotti ogm, per definizione incontestabile ritenuti monopolio di odiose multinazionali;
- rifiuto definitivo di una tecnologia dalla quale l’Italia, per conformazione geografica e per struttura economica, non può trarre alcun vantaggio, con ciò implicitamente ignorando i successi realizzati dai nostri agricoltori nel secolo appena trascorso, adattando reciprocamente strutture produttive e innovazioni meccaniche, chimiche e genetiche.
Come si vede si tratta di una inattaccabile cintura protettiva, nella sostanza condivisa trasversalmente da tutti gli schieramenti politici, che ha condizionato e condizionerà sempre più pesantemente la ricerca agricola e conseguentemente lo sviluppo tecnico ed economico.
Già oggi molti indicatori evidenziano, indipendentemente dal valore dei singoli ricercatori, un certo ripiegamento su se stessa della ricerca agricola italiana, uno spinto localismo, una sorta di provincializzazione, che tende a porla ai margini del mondo scientifico internazionale.
Non si contesta la scelta politica, più che legittima. L’importante è che si abbia una chiara visione delle conseguenze che ne derivano. Rifiutare per principio l’approccio scientifico significa rinunciare ai vantaggi della riduzione dei prezzi per i consumatori e del miglioramento dei salari e delle condizioni di vita dei lavoratori.
La mia impressione è che non ci sia a questo proposito una consapevolezza completa e diffusa e che spesso, forse senza volere, si sia seguita la via più facile e popolare.
Strade dei vini, tutela e promozione di qualsiasi prodotto tipico di ogni piccola località del nostro Paese richiedono meno impegno intellettuale e richiamano l’attenzione dei mezzi di comunicazione di massa mille volte di più del più rigoroso progetto di ricerca, complicato da capire e in grado di produrre risultati concreti solo dopo diversi anni.
In conclusione, mi permetto di consigliare ai responsabili delle politiche agricole di dare maggiore ascolto agli scienziati, a quelli veri, certificati da una produzione scientifica riconosciuta a livello internazionale.
Solo in questo modo sarà possibile mantenere all’agricoltura la dignità di un’attività a forte contenuto tecnico ed economico, piuttosto che ridurla a una semplice branca della gastronomia, anche se, a onor del vero, si deve riconoscere che dopo il sesso, la gastronomia è oggi l’argomento più popolare.

Sommario rivista Vittorio A. Gallerani


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