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Ricerca agricola condizionata |
Non c’è la completa consapevolezza degli effetti dovuti alla
limitazione del campo d’azione della ricerca, ad esempio escludendo di fatto
a priori gli organismi geneticamente modificati. Il mondo politico dovrebbe
dare più ascolto agli uomini di scienza riconosciuti a livello
internazionale
Mi è recentemente capitato di assistere a un confronto tra le scienze
mediche e quelle agrarie a proposito delle nuove frontiere della ricerca
scientifica e dell’innovazione tecnologica. La rappresentante della prima
area scientifica, una giovane ricercatrice con già alle spalle una solida
esperienza in un prestigiosa università statunitense, seppe con molta
efficacia illustrare le sofisticate tecnologie per la clonazione delle
cellule staminali, mediante le quali il centro di ricerca italiano da lei
diretto era in grado di ricostruire interi tessuti e quindi risolvere
definitivamente gravi problemi sanitari fino ad oggi considerati incurabili.
A rappresentare l’area delle scienze agrarie era stato chiamato un brillante
uomo di marketing, che seppe affascinare l’uditorio declamando con
convinzione il pregio dei tanti prodotti alimentari della nostra agricoltura
tradizionale, la cui moderna riproposizione, mediante l’uso di svariate
etichette (dop, doc, igp, ecc.) veniva indicata come la nuova frontiera
della ricerca. Non si sottrasse nemmeno dall’affrontare lo spinoso problema
dell’uso degli organismi geneticamente modificati. A questo proposito, per
convincere l’uditorio gli fu sufficiente snocciolare con molta sicurezza la
sequela di postulati (luoghi comuni?) di quello che ormai può, a buon
diritto, denominarsi «pensiero unico agricolo italiano»:
- applicazione oltre ogni limite di ragionevolezza del principio di
precauzione, secondo il quale sembrerebbe preferibile rischiare una
probabile grave e irreversibile disfunzione del fegato o del cuore
alimentandosi con un prodotto tradizionale, specie se biologico, piuttosto
che correre un seppur improbabile rischio di lieve e reversibile danno per
ingestione di un prodotto ogm;
- radicale opposizione alla diffusione nell’ambiente di organismi
geneticamente modificati, fatta passare con la contraddittoria formula della
«coesistenza»;
- assoluta ostilità a qualsiasi sfruttamento commerciale dei prodotti ogm,
per definizione incontestabile ritenuti monopolio di odiose multinazionali;
- rifiuto definitivo di una tecnologia dalla quale l’Italia, per
conformazione geografica e per struttura economica, non può trarre alcun
vantaggio, con ciò implicitamente ignorando i successi realizzati dai nostri
agricoltori nel secolo appena trascorso, adattando reciprocamente strutture
produttive e innovazioni meccaniche, chimiche e genetiche.
Come si vede si tratta di una inattaccabile cintura protettiva, nella
sostanza condivisa trasversalmente da tutti gli schieramenti politici, che
ha condizionato e condizionerà sempre più pesantemente la ricerca agricola e
conseguentemente lo sviluppo tecnico ed economico.
Già oggi molti indicatori evidenziano, indipendentemente dal valore dei
singoli ricercatori, un certo ripiegamento su se stessa della ricerca
agricola italiana, uno spinto localismo, una sorta di provincializzazione,
che tende a porla ai margini del mondo scientifico internazionale.
Non si contesta la scelta politica, più che legittima. L’importante è che si
abbia una chiara visione delle conseguenze che ne derivano. Rifiutare per
principio l’approccio scientifico significa rinunciare ai vantaggi della
riduzione dei prezzi per i consumatori e del miglioramento dei salari e
delle condizioni di vita dei lavoratori.
La mia impressione è che non ci sia a questo proposito una consapevolezza
completa e diffusa e che spesso, forse senza volere, si sia seguita la via
più facile e popolare.
Strade dei vini, tutela e promozione di qualsiasi prodotto tipico di ogni
piccola località del nostro Paese richiedono meno impegno intellettuale e
richiamano l’attenzione dei mezzi di comunicazione di massa mille volte di
più del più rigoroso progetto di ricerca, complicato da capire e in grado di
produrre risultati concreti solo dopo diversi anni.
In conclusione, mi permetto di consigliare ai responsabili delle politiche
agricole di dare maggiore ascolto agli scienziati, a quelli veri,
certificati da una produzione scientifica riconosciuta a livello
internazionale.
Solo in questo modo sarà possibile mantenere all’agricoltura la dignità di
un’attività a forte contenuto tecnico ed economico, piuttosto che ridurla a
una semplice branca della gastronomia, anche se, a onor del vero, si deve
riconoscere che dopo il sesso, la gastronomia è oggi l’argomento più
popolare.
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