UNIONE EUROPEA |
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La carne inglese torna sul Continente |
Finito l’embargo per la bse
Il comitato veterinario dell’Ue ha dato il via libera avendo giudicato
sufficientemente migliorata la situazione sanitaria nel Paese. Le
conseguenze sul mercato europeo
«È la migliore notizia degli ultimi 10 anni!». Questo il commento di
Peter Kendall, presidente del National farmers union, principale sindacato
agricolo britannico, che ha espresso emblematicamente la soddisfazione di
tutta la filiera bovina inglese per l’approvazione all’unanimità, durante il
Comitato veterinario permanente dell’8 marzo scorso, della proposta della
Commissione europea di eliminare il divieto di esportazione mondiale di
bovini vivi e di carni bovine prodotte nel Regno Unito.
Fu infatti nel lontano 27 marzo 1996 che l’Unione Europea decise di
interdire i bovini e la carne inglese dal mercato mondiale. Già dallo scorso
anno i casi di Bse riscontrati erano scesi sotto il tetto dei 200 casi per
milione, dal picco di 37.280 casi clinici del 2002 e per un totale di
183.000 casi dalla prima diagnosi nel 1986. Il Paese era stato quindi
declassato da «rischio elevato» al livello di «rischio moderato» per la Bse:
lo stesso degli altri partner europei. La decisione era quindi obbligata e
fra qualche settimana, dopo aver incassato il parere del Parlamento europeo
ed essere pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, sarà operativa.
Gli effetti della Bse
La decisione ha ovviamente un rilevante effetto economico per la zootecnia e
per il mercato interno britannico come pure per il mercato europeo delle
carni bovine.
Durante questi anni la struttura produttiva zootecnica del Regno Unito è
stata letteralmente sconvolta dagli effetti della vacca pazza e ha dovuto
necessariamente rinnovarsi a causa dei drastici provvedimenti sanitari.
Un vero e proprio disastro è diventato, anche e soprattutto grazie ai fondi
dell’Unione Europea, un’opportunità. Le aziende marginali hanno abbandonato
approfittando dei rimborsi e quelle che sono rimaste si sono ristrutturate e
hanno rinnovato completamente le mandrie, migliorandole geneticamente e
ringiovanendole rendendosi quindi più efficienti e pronte ad affrontare il
mercato globale. La capacità produttiva e la redditività sono rimaste
tuttavia «soffocate» dalla mancanza di uno sbocco sul mercato. Il tasso di
autoapprovvigionamento è stato nel 2005 del 74% con circa 286.000 t di carni
bovine importate.
Forte è stata la protesta delle associazioni degli allevatori contro le
grandi catene distributive che, pur di mantenere i prezzi bassi, hanno
privilegiato in questi anni le carni sudamericane e irlandesi, seppure
queste ultime fossero più care, tenendo depresso anche il mercato dei prime
beef cioè dei bovini ingrassati di meno di 30 mesi di età le cui carni
potevano essere destinate al consumo.
Solo nella seconda parte del 2005, a causa dell’offerta irlandese in
progressiva riduzione, cui si è sommata dal mese di ottobre la chiusura
dell’import dai tre Stati brasiliani principali esportatori, la
distribuzione ha dovuto approvvigionarsi maggiormente sul mercato interno e
alzare i prezzi.
Il mercato ha quindi recentemente recuperato con i prezzi che hanno
raggiunto i 120 pence/kg per le vacche migliori (1 euro vale circa 69 pence),
ma che rimangono lontani dai 177 pence/kg della Francia o dei 159 della
Germania.
Anche per i prime beef i prezzi sono lontani da quelli continentali. I corsi
medi attuali sono, secondo la National beef association, di 197 pence/kg
carcassa (circa 2,90 euro), contro i 228 pence/kg della Francia e i
220 pence/kg della Spagna. Il mercato è quindi particolarmente penalizzato
per le vacche con uno scarto di almeno un 25-30%, ma lo è pure di un 10-20%
per gli animali maschi e le giovenche da macello.
Ma sono i vitelli di razze da latte britannici che hanno i prezzi in caduta
libera a causa della mancanza di uno sbocco e che oggi vengono destinati a
uso non alimentare da parte dell’industria. Se nel 2005 il prezzo dei
vitelli maschi Frisoni di 45-50 kg si era dimezzato, scendendo a 25 euro di
media a capo contro 194 ad esempio della Francia, negli ultimi giorni è
sceso addirittura sotto i 10 euro.
Tanto basta per rendere ragione delle forti aspettative degli allevatori e
dei macellatori britannici che contano di recuperare un mercato che nel
1995, ultimo anno prima del divieto di esportazione, ha assorbito ben
274.000 t
di carni britanniche per un valore storico di 600 milioni di sterline e 75
milioni di animali vivi: in totale circa 1 miliardo di euro.
La Commissione ha scelto comunque il momento migliore per eliminare il
divieto.
Innanzitutto, la decisione viene presa nel momento in cui l’Europa, e non
solo, è attraversata dalla paura per un’altra emergenza sanitaria, l’inflenza
aviare che sigla, almeno per l’opinione pubblica, la fine della crisi della
vacca pazza, ma rappresenta al tempo stesso anche un forte segnale politico
di richiesta di fiducia nei confronti dei cittadini europei dimostrando la
capacità delle istituzioni dell’Unione di intervenire con determinazione e
con esito positivo nell’affrontare grandi «spettri» che attentano alla
salute pubblica.
Le conseguenze sul mercato
L’altro aspetto importante è ovviamente economico. La produzione di carni
bovine dell’Unione a 25 già nel 2005 ha registrato un deficit di oltre
300.000 t che è previsto in ulteriore aumento nel 2006. In aggiunta vi sono
altri fattori esterni: il divieto, imposto dalla Commissione lo scorso
ottobre, di importazione dal Brasile a causa dell’afta, nonché la decisione
argentina della scorsa settimana di sospendere volontariamente l’export
verso l’Ue della quota eccedente il contingente Hilton beef di 28.000 t per
i prossimi sei mesi, per aumentare l’offerta sul mercato nazionale.
A questo si dovrebbe sommare un certo aumento dei consumi legato alla
parziale sostituzione delle carni avicole, come conseguenza dell’influenza
aviare, il cui effetto sul mercato dipenderà dalla durata della crisi.
Si tratta di una combinazione apparentemente favorevole agli allevatori
bovini ma molto pericolosa per l’economia. I prezzi di mercato delle carni
bovine sono in forte progressione in tutti i Paesi dall’inizio dell’inverno
e potrebbero impennarsi ulteriormente con forti ripercussioni sui prezzi al
dettaglio in tutta l’Unione in un momento in cui l’inflazione ha già ripreso
a essere un elemento di preoccupazione per altre cause.
La carne inglese contribuirà, anche se gli effetti non saranno immediati, a
calmierare il mercato europeo. Sarà innanzitutto la carne di vacca di
riforma che per prima giungerà sul mercato, quello francese innanzitutto, in
cui l’industria sta penando, anche grazie al previsto aumento di produzione
stimato per il 2006 in 184.000 t (+27%).
Dovrebbero essere poi i vitelli di razze da latte destinati alla produzione
di vitelli a carne bianca a giungere sul Continente in risposta alla forte
domanda degli integratori sia francesi che olandesi e belgi. Da non
escludere infine la possibilità di importare bovini incroci magri da
ristallo per l’ingrasso dato il consistente divario di prezzo esistente con
il mercato continentale.
Saranno perciò gli allevatori e in generale il settore della carne bovina
inglese ad avere innanzitutto un grande beneficio dall’eliminazione del
divieto, ma questo non avverrà, almeno con il perdurare dell’attuale fase
congiunturale, a scapito degli allevatori continentali.
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