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La coperta corta dei fondi europei |
La riduzione delle risorse destinate allo sviluppo rurale può essere
recuperata attraverso il ricorso alla modulazione volontaria che, però,
viene giudicata dai vertici della Commissione fonte di possibili distorsioni
della concorrenza
L'accordo sul bilancio Ue per il periodo 2007-13 raggiunto lo scorso 17
dicembre è stato bocciato il 18 gennaio dal Parlamento europeo con
larghissima maggioranza. Un compromesso con il Consiglio sicuramente verrà
trovato, anche se ora non sappiamo sulla base di quali cifre.
Ciò che sembra scontato è che l’accordo porterà comunque a un
ridimensionamento dei fondi destinati alla pac. L’analisi che segue, fatta
in base a quanto deciso a dicembre, resta quindi valida. Le conseguenze
delle minori risorse a disposizione si avranno sia sugli aiuti diretti,
perché, pur mantenendo l’impegno preso nel 2002, viene caricata sullo stesso
stanziamento anche la spesa dal 2007 per Romania e Bulgaria, non prevista in
origine, sia sui fondi assegnati al «secondo pilastro», vale a dire alla
politica di sviluppo rurale.
Per l’Italia, anche tenendo conto delle risorse provenienti dalla
modulazione obbligatoria e del bonus ottenuto assieme ad altri 7 Paesi,
quantificato per noi in 500 milioni di euro, il Mipaf calcola un «buco» di 1
miliardo rispetto all’attuale dotazione, pari a una contrazione di circa il
12%. Tale riduzione è tanto più vistosa se si considera che prima la
Commissione e poi la presidenza lussemburghese nel compromesso di giugno
2005 avevano proposto uno stanziamento per lo sviluppo rurale superiore,
rispettivamente, del 27 e del 7%.
Ma le cattive notizie non finiscono qui, perché il vertice europeo aveva
anche deciso che la Commissione dovrà redigere nel 2008-2009 un rapporto,
sulla base del quale il Consiglio potrà proporre la revisione della
struttura del bilancio, compresa la spesa dell’agricoltura, mettendo in
forse le stesse risorse su cui l’agricoltura crede oggi di poter contare
fino al 2013.
L’unica speranza per recuperare al secondo pilastro le risorse sottratte,
sembra quella di ricorrere alla modulazione volontaria che consentirebbe
agli Stati membri di arrivare fino a una percentuale massima del 20% dei
pagamenti diretti, dirottando i relativi accantonamenti allo sviluppo
rurale.
Le reazioni all’introduzione di questo strumento sono state generalmente
negative; si è letto che lo stesso presidente della Commissione José Manuel
Barroso avrebbe scritto a Tony Blair denunciando che la modulazione
volontaria potrebbe creare forti distorsioni nella concorrenza tra diversi
Paesi dell’Unione.
Su queste pagine ho sostenuto più volte che la rivoluzione della riforma
Fischler doveva essere accettata soprattutto perché il disegno di fondo
trovava una sua coerenza complessiva nella politica di sviluppo rurale alla
cui attuazione concorrevano assieme le misure del primo e del secondo
pilastro.
Purtroppo le decisioni del Vertice di Bruxelles darebbero un duro colpo a
questa mia convinzione, aggravando ancora di più quelle che sono le
preoccupazioni, non solo mie, ma di tutto il mondo agricolo, sul proprio
futuro, che deve poter contare su politiche di sviluppo rurale capaci di
aumentare la sua competitività, dove è possibile, e di integrarlo nelle
dinamiche di sviluppo dell’economia attraverso la multifunzionalità, le
produzioni di qualità, la tutela dell’ambiente, la diversificazione
produttiva, in poche parole, attraverso le misure che devono essere
contenute nei Piani di sviluppo rurale. Se si crede in questo, non mi pare
uno scandalo prendere in seria considerazione la proposta di adottare la
modulazione volontaria. Forse non lo si ricorda più, ma la prima proposta
Fischler del luglio 2002 prevedeva la cosiddetta «modulazione dinamica», la
quale si basava, in sintesi, su: una riduzione dei pagamenti diretti in
misura del 3% annuo per sette anni fino a una riduzione massima del 20%;
l’esenzione per le aziende con aiuti complessivi fino a 5.000 euro e con due
unità di lavoro a tempo pieno; una franchigia aumentabile di 3.000 euro per
ogni unità di lavoro in più; la fissazione di un tetto massimo degli aiuti
per azienda fino al limite di 300.000 euro. Nelle successive versioni i
criteri secondo i quali doveva essere applicata la modulazione hanno subito
continue limature, fino a quella attuale che prevede un prelievo fisso del
5% all’anno dal 2007 al 2013 sull’ammontare dei pagamenti diretti
corrisposti agli agricoltori. La riduzione dei fondi assegnati
all’agricoltura dal nuovo bilancio Ue richiede a ogni Paese, se non lo farà
l’Unione, di rivedere con coraggio e intelligenza le risorse da ripartire
tra primo e secondo pilastro.
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