Riprende la corsa delle colture ogm. Nel 2016, secondo i dati dell’Isaaa (International service for the acquisition of agribiotech applications), nel mondo sono stati coltivati 185,1 milioni di ettari con varietà biotech, un record, contro i 179,7 milioni del 2015 (+3%) quando, per la prima volta in vent’anni, si era registrato un leggero calo (–1%).
Al di là di qualche variazione nei numeri, le classifiche dei principali Paesi utilizzatori e delle colture più utilizzate non sono cambiate. Tra i Paesi troviamo sempre in testa gli USA con quasi 73 milioni di ettari coltivati con ogm (+2 milioni), seguiti da Brasile con 49,1 milioni (contro i 44 del 2015), Argentina con 23,8 milioni –0,67 milioni), Canada con 11,6 milioni (+0,6) e India con 10,8 milioni (–0,8).
Per quanto riguarda l’Europa quelli interessati sono quattro: Portogallo, Slovacchia, Repubblica Ceca e Spagna, ma in pratica è solo quest’ultima che ha un dato significativo. Nel Paese iberico sono stati coltivati 129.081 ettari di mais Bt con un aumento del 17% rispetto al 2015.
Per quanto riguarda le specie coltivate, la soia fa sempre la parte del leone: rappresenta infatti la metà delle superfici a ogm. Seguono il mais con il 33%, il cotone con il 12%, il colza con il 5% e un altro 1% di altre colture minori.
Commentando questi dati non si può evitare di notare come siano stati accolti: nel silenzio assoluto. Mentre l’anno scorso, a fronte del calo dell’1%, il primo in vent’anni, c’era stato un proliferare di comunicati entusiastici riassunti dal titolo «Storico flop degli ogm», quest’anno le stesse fonti non hanno scritto nulla.
Forse, se avessero usato la stessa logica, avrebbero dovuto titolare «Boom degli ogm». O no?
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