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Il latte italiano in lotta per la sopravvivenza

Le scene che si sono ripetute nei giorni scorsi in diverse località della Pianura Padana non sono nuove: allevatori in strada con trattori e vacche al seguito, cartelli, slogan di protesta. E il ministro al loro fianco.
otrebbe però essere l’ultima volta che vediamo tutto questo. Il motivo è molto semplice: con gli attuali prezzi pagati dall’industria agli allevatori italiani per il loro latte l’intero settore rischia di chiudere baracca. I numeri parlano chiaro: a fronte di costi di produzione variabili da 38 a 60 centesimi al litro, il prezzo pagato agli allevatori dall’industria, in particolare da Lactalis, è invece sceso a 34 centesimi al litro di latte. Insomma, si lavora in perdita.
La Coldiretti ha guidato la protesta, che ha poi trovato l’appoggio unanime di tutte le organizzazioni, allestendo un presidio davanti al centro di distribuzione della Lactalis a Ospedaletto Lodigiano (Lodi) iniziato il 7 novembre e proseguito nei giorni successivi, e quindi volantinaggi per informare i consumatori davanti a molti supermercati del Nord Italia.
Il gruppo francese Lactalis, è bene ricordarlo, ha acquisito negli anni molti marchi storici dell’industria lattiero-casearia italiana: Galbani, Invernizzi, Locatelli e, da ultima, Parmalat. La difesa dell’industria è che il prezzo proposto agli agricoltori italiani fa riferimento a quello tedesco, effettivamente più basso.
Senza entrare nel merito del perché gli allevatori tedeschi «ci stanno dentro» e quelli italiani no, bisogna però rilevare un altro aspetto, niente affatto secondario: il prezzo di vendita al consumo del latte in Germania è più basso del 30% rispetto a quello italiano. In pratica Lactalis interpreta il libero mercato in questo modo: acquistare a prezzi tedeschi ma vendere a prezzi italiani.

Se vuoi approfondire l'argomento, grazie al servizio Rivista Digitale, leggi l'articolo online a pagina 7 de L'Informatore Agrario n. 42/2015!  Clicca qui 

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