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Lotta alle nutrie: facile a dirsi, difficile a farsi

Lo Stato, con un decreto ad hoc, (decreto legge n. 91/2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 116/2014) ha deciso che la nutria non fa più parte della fauna selvatica, oggetto di tutela e di un prelievo venatorio regolamentato, ma è equiparata alle specie nocive quali talpe, ratti, topi, arvicole (in questo senso è stato modificato l’art. 2, comma 2, della legge 157/92 sull’attività venatoria). Quello che potrebbe essere pomposamente ma anche correttamente chiamato un cambiamento dello status giuridico, non ha determinato, però, una semplificazione dell’azione di contenimento di questa specie. In quanto non più fauna selvatica, infatti, la nutria non può essere sottoposta ai piani di controllo di competenza della Provincia e i danni che provoca alle produzioni agricole non sono risarcibili attingendo al fondo regionale che indennizza, peraltro sempre in maniera insufficiente, i danni provocati all’agricoltura dalla fauna selvatica.
Ma allora, se Regione e Province non c’entrano più, a chi rivolgersi per ottenere un’azione di contenimento del Myocastor coypus, questo roditore originario del Sud America, importato in Italia per ragioni commerciali e poi proliferato nelle campagne una volta che il mercato si era stancato della pelliccia di castorino? La risposta la si conosceva già, ma è stata formalizzata dalla circolare interministeriale prot. 21814 del 31-10-2014 (Ministeri della salute e delle politiche agricole), che ha indicato nei Comuni l’autorità competente all’intervento.
A questo punto, mentre cresceva l’allarme per il pericolo rappresentato dalle nutrie per gli argini dei corsi d’acqua, per la produzione agricola, per la circolazione stradale, si è assistito a un disordinato rincorrersi di iniziative locali, provinciali e comunali, che, per la loro estemporaneità e spesso fragilità sul piano giuridico, non sono state in grado di affrontare il problema in maniera adeguata.
 

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