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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
32
1 - 7 Ago.

  2003
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POLITICA
Chi pensa agli agricoltori?


Corrado Giacomini
La recente riforma della pac è imperniata su azioni tese a evitare distorsioni negli scambi commerciali e a favorire nel contempo le richieste di qualità e sicurezza del consumatore. Non si preoccupa, di fatto, del reddito degli agricoltori

Il 26 giugno scorso si è conclusa la maratona sulla proposta di riforma della politica agricola comune, avanzata dal commissario Franz Fischler circa un anno fa. È stata una battaglia dura, alla fine della quale tutti vorrebbero potersi chiamare vincitori. In Italia si è sempre considerato che i contendenti più forti fossero, da un lato, il commissario Fischler e, dall’altro, il cosiddetto blocco franco-tedesco schierato, soprattutto, a difesa degli interessi degli agricoltori francesi. Se si va sul sito Internet della Fnsea (www.fnsea.fr), la grande organizzazione degli agricoltori francesi, si può leggere un’intervista rilasciata dal presidente Jean-Michel Lemetayer il 27 giugno dal titolo «Una vera rinuncia alla gestione dei mercati», nella quale egli esprime un giudizio tutt’altro che positivo su quanto ottenuto dal ministro dell’agricoltura francese e soprattutto dal presidente Jacques Chirac. In conclusione, nemmeno il blocco franco-tedesco, dopo aver ottenuto nel Consiglio di ottobre il congelamento del budget di spesa per gli interventi di mercato fino al 2013, è riuscito a scalfire la resistenza di Fischler, soprattutto sul disaccoppiamento.Le ragioni sono chiaramente espresse nella seconda pagina dell’allegato al «Compromesso» del 26 giugno, dove sono elencati gli obiettivi. Secondo il documento: la riforma è la risposta alle richieste dei cittadini di cibo più sano, di migliore qualità, di metodi di produzione rispettosi degli animali e dell’ambiente, di mantenimento delle nostre condizioni di vita naturali e di protezione delle campagne. Essa contribuisce a migliorare l’immagine pubblica e il ruolo degli agricoltori nella società europea, consentendo di accrescere il consenso dei consumatori nei confronti della pac e la disponibilità dei contribuenti a pagare tale politica. Lancia, inoltre, un messaggio ai partner commerciali, compresi, in particolare, i Paesi in via di sviluppo, perché implica un netto scostamento dal sostegno agricolo accoppiato causa di distorsioni degli scambi e un’ulteriore riduzione dei sussidi all’esportazione. Il Consiglio sottolinea, poi, che la riforma consente di ridurre le rimanenti distorsioni commerciali e che la spesa globale si manterrà nell’ambito dei massimali convenuti. La riforma costituisce, infine, l’importante contributo dell’Europa all’agenda di Doha e definisce i limiti dell’ambito del negoziato della Commissione nel quadro del round Wto.
Il compromesso conclude l’elenco degli obiettivi affermando che ogni Paese ha diritto a una politica agricola propria, a condizione che sia sostenibile ed eviti le distorsioni commerciali: «il sostegno che l’Ue (esattamente come altri) offre ai suoi agricoltori è una scelta politica fondata sull’obiettivo di garantire un’agricoltura sostenibile nei suoi aspetti sociali, economici e ambientali».
Dalla lettura di queste frasi emerge chiaramente che la riforma della pac per i 15 Paesi della vecchia Ue non è stata pensata per gli agricoltori rimasti ma che, dati i vincoli di bilancio malgrado l’entrata di altri 11 Paesi, questa riforma ha per obiettivo un nuovo rapporto tra agricoltura e società civile e l’allargamento degli scambi a livello mondiale nel comune interesse dei Paesi ricchi e dei Paesi poveri. È una riforma della politica agricola comune che, di fatto, non si preoccupa del reddito degli agricoltori, che certamente non vuole penalizzarli, ma che ha pensato le azioni di politica agraria di cui si compone (in particolare il disaccoppiamento) soprattutto per evitare le distorsioni agli scambi, di cui le misure accoppiate erano responsabili, e affida alla cosiddetta politica del «secondo pilastro» gli interventi diretti a far crescere la competitività delle imprese e a orientarne la produzione secondo le richieste (qualità e sicurezza) del nuovo consumatore e i bisogni (ambiente) della società civile.
Il problema sta proprio qui: chi pensa agli agricoltori? L’agricoltura in questi anni è diventata un’altra cosa rispetto a quella che aveva bisogno di una politica orizzontale di sostegno dei prezzi per mantenere sul mercato le aziende efficienti e anche quelle marginali; allo stesso tempo sono cambiati i bisogni di una società civile che, soddisfatti i bisogni primari, domanda ora qualità, sicurezza e ambiente. L’ultimo Censimento ha messo in evidenza che la nostra agricoltura è fatta da tante aziende piccole e piccolissime (1.160.000 sono sotto l’ettaro) e da poche aziende professionali. Il disaccoppiamento rischia di spingere le prime verso la «non coltura», mentre per le seconde, proiettate sul mercato, il pagamento unico non basta per modificare le condizioni di convenienza dell’attività di impresa, ma sarà necessario un forte intervento di carattere strutturale e un efficace miglioramento dell’organizzazione di mercato.


Sommario rivista Corrado Giacomini
E-mail: c.giacomini@informatoreagrario.it


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