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Il biologico chiede più ricerca |
Un segnale forte al Sana di BolognaArchiviati i successi
clamorosi degli ultimi anni, il settore deve organizzare meglio le sue
strutture. La carenza di investimenti per la ricerca rischia di essere il
maggior freno a un ulteriore sviluppo del comparto le cui potenzialità
rimangono molto interessanti
Come è ormai tradizione Sana,
il Salone internazionale del naturale di Bologna, svoltosi quest’anno dall’11
al 14 settembre scorso e giunto alla 15a edizione, si è confermato
un appuntamento importante per tutti gli operatori del settore e gli addetti ai
lavori. Le cifre dicono che quest’anno erano presenti 1.600 espositori su una
superficie di 85.000 m2, con buyer provenienti da Svezia, Norvegia,
Danimarca, Giappone, Canada e Stati Uniti, oltre naturalmente ai molti
operatori stranieri provenienti un po’ da tutto il mondo, il che testimonia a
sufficienza il grande interesse che tuttora circonda il settore e la
manifestazione.
Nei quattro giorni del
Salone, articolato in tre aree tematiche dedicate all’alimentazione, alla
salute e all’ambiente, grazie anche a un’agenda convegnistica particolarmente
ricca, è stato possibile infatti fare il
check up al comparto e tentare di individuare su quali direttrici è orientato
il suo sviluppo futuro.
Lo scorso anno il tema
dominante fu la grande apertura del settore al commercio internazionale e le
favorevoli prospettive che si delineavano per le nostre produzioni su mercati
nuovi e ricchi come quelli americano, giapponese, ecc., pur con tutte le
problematiche normative connesse al riconoscimento all’estero dei nostri metodi
di produzione e dei nostri organismi di certificazione.
Successivamente però, il
peggioramento della congiuntura economica in Italia e a livello internazionale,
il progressivo rafforzamento dell’euro sul dollaro, che ha frenato tutte le
nostre esportazioni, e lo scoppio della guerra in Iraq hanno in parte
raffreddato gli entusiasmi, tanto che con l’uscita dal settore primario di un
certo numero di aziende, avvenuta soprattutto nelle aree meridionali del Paese,
qualcuno ha parlato di calo della produzione e dei consumi di biologico in
Italia.
Vari organismi e operatori
hanno invece sostenuto che no, il settore biologico non è in crisi, anzi va
consolidando i propri successi.
Senza cercare di capire chi
abbia ragione e chi no, il balletto delle cifre fornite ha permesso di
constatare quanto siano inadeguati i sistemi statistici che si occupano del
comparto, problema questo che riguarda non solo l’Italia ma tutta Europa.
Come ha affermato Raffaele Zanoli, docente di economia presso l’Università politecnica delle Marche,
«siamo in una situazione primordiale delle rilevazioni statistiche del settore.
È necessario creare quanto prima un Osservatorio nazionale permanente
sull’agricoltura biologica che coordini i vari enti (Fiao, Inea, Istat, Sinab,
ecc.) che a diverso titolo raccolgono dati sul fenomeno e, parallelamente, va
proposta la creazione di un Osservatorio permanente europeo in cui far
confluire le informazioni, magari sfruttando l’attuale presidenza di turno
italiana dell’Unione Europea».
Ricerca inesistente
La disarmante povertà di dati
a disposizione e l’assenza di una base informativa fondata su dati omogenei
impedisce anche lo svolgimento di ricerche di natura economica sulla struttura
e sui risultati economici delle aziende biologiche, oltretutto soggette a
un’evoluzione tanto veloce da rendere rapidamente obsolete anche indagini
eseguite ad hoc.
Ma è tutta la ricerca
dedicata all’agricoltura biologica che dovrà crescere nei prossimi anni.
Il settore, infatti, dopo
l’epoca pionieristica durante la quale ha costruito le attuali conoscenze
tecnico-scientifiche sulla propria pelle, affrontando la sperimentazione
direttamente nelle aziende agricole, se oggi vuole crescere secondo le
aspettative che gli vengono unanimamente riconosciute non può più fare a meno
di un programma coordinato di ricerca nazionale che permetta l’effettivo
miglioramento delle condizioni di produzione lungo tutta la filiera.
Nonostante l’Italia, con
circa 1,2 milioni di ettari di superficie dedicata alle coltivazioni biologiche
e oltre 61.000 aziende attive, si confermi leader in Europa e uno dei grandi
Paesi produttori a livello mondiale è anche, tristemente, uno dei fanalini di
coda per quanto riguarda gli investimenti in ricerca (vedi grafico).
Questo fattore di crescita
trascurato fino a oggi rischia di diventare un importante freno allo sviluppo
che rallenta il processo di razionalizzazione dei fattori produttivi nella sola
ottica possibile, quella della diminuzione e stabilizzazione dei costi di
produzione oltre che del miglioramento della qualità dei prodotti ottenuti.
Non si può, insomma, pensare
seriamente di affrontare la sfida competitiva dei prossimi anni solo sulla
scorta di qualche lavoro di ricerca svolto dagli istituti sperimentali del
Mipaf o, saltuariamente, da qualche istituto universitario.
«Purtroppo mentre in Italia
si continua a discutere – ha detto Fabrizio Piva, vicepresidente del Consorzio
per il controllo dei prodotti biologici (Ccpb) – negli altri Paesi comunitari
vi sono istituti di ricerca pubblici che già da parecchi anni producono
risultati e che oggi si sono federati dando vita alla Società internazionale
per la ricerca in agricoltura biologica (Isofar) che si pone l’obiettivo di
favorire e divulgare la ricerca di settore».
L’importanza del Piano d’azione
Se la ricerca a livello
nazionale diventa un fattore di crescita determinante, non meno importanza ha
certamente la nuova politica agricola comune che, così com’è formulata, non
sembra in grado di supportare lo sviluppo rurale sostenibile, mancando per di
più, come effettivamente manca, di precisi riferimenti al settore biologico.
Assume di conseguenza grande
rilievo il Piano d’azione per l’agricoltura biologica, da adottare sia a
livello nazionale che europeo, il quale dovrà tener conto di aspetti importanti
e tra essi collegati: la crescita del mercato, le politiche di sostegno della
domanda, gli interventi per la riduzione dei costi e il miglioramento della
qualità dei prodotti.
L’Italia, al riguardo, ha le
competenze e la credibilità che le derivano dal suo ruolo di leader europeo,
per presentare idee e proposte che possano portare all’attuazione del Piano
entro la fine dell’anno, legandole per quanto possibile alla nuova pac, così da
ottenere quelle fonti di finanziamento senza le quali ogni ipotesi di sviluppo
risulterebbe più difficile.
«Dopo due anni, il 2002 e il
2003, che hanno fatto registrare una relativa stasi nella crescita del settore
– è l’opinione di Lino Nori, presidente della Fiao, la Federazione italiana di
agricoltura organica, ente che rappresenta in modo significativo gli organismi
di certificazione nazionali – ora chi ha a cuore il futuro dell’agricoltura
biologica dovrà operare scelte impegnative e importanti a vari livelli:
promuovere la ricerca, dare vita a una programmazione politica di lungo
respiro, consentire una razionalizzazione produttiva che aumenti il livello di
competitività delle nostre produzioni e, infine ma non ultimo, dar corso a una
più efficace comunicazione ai consumatori dei valori collegati alle produzioni
biologiche».
«Tassi di crescita annui del
20%, come nei primi anni Novanta – conclude Nori – ora che il settore si avvia
a diventare più maturo, non sono più possibili. Anche per questa ragione vanno
poste premesse strutturali più solide, per garantire quello sviluppo che è
ampiamente alla portata del settore».
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