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2003 |
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POLITICA |
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Agricoltura colpevole? |
Troppo spesso le grandi
disparità tra Paesi ricchi e Paesi poveri vengono attribuite alle presunte
«malefatte» delle politiche agricole dell’Europa e degli Usa: un’analisi
semplicistica e inesatta
Ogni volta che si discute
della liberalizzazione del commercio mondiale c’è qualcuno, anzi più di
qualcuno, che scopre le malefatte della politica agraria degli Usa e della Cee,
ora Ue, che, arroccata a difesa dei propri agricoltori, è considerata tra le
maggiori responsabili della fame delle popolazioni del Terzo mondo.
Fa una certa impressione
leggere, ad esempio, nell’editoriale di Francesco Giavazzi per il Corriere
della Sera di mercoledì 10 settembre che «Ogni mucca allevata nell’Unione
Europea riceve un sussidio superiore al reddito di centinaia di milioni di
individui che abitano nei Paesi più poveri;...» o quello che scrive Ernesto
Galli della Loggia su Sette, il magazine del Corriere dell’11 settembre,
secondo il quale a causa delle esportazioni di mais Usa verso il Messico «il prezzo
del granoturco messicano è caduto di più del 70%, riducendo in modo drastico il
reddito dei 15 milioni di cittadini di quel Paese il cui livello di vita
dipende dal prezzo del granoturco stesso».
Quello che scrivono Giavazzi
e Galli della Loggia è vero, ma è semplicistico dare la colpa di tutto questo
alle lobby degli agricoltori come fa il primo o scoprire, come fa il secondo,
che le ingiustizie iniziano nei campi e non nelle fabbriche. Non è il caso dei
due autori, ma è stato spesso evidente che le violente critiche mosse alle
politiche agricole protezionistiche degli Usa e della Cee in occasione dei
passati round del Gatt erano strumentali, perché sollevate proprio da coloro
che erano portatori degli interessi forti, vale a dire dall’industria, che non
poteva e non può accettare che la difesa degli agricoltori, ormai minoranza
sociale ed economica, possa rappresentare un ostacolo allo sviluppo del
commercio mondiale.
Per fortuna che tutta la
stampa nazionale e internazionale ha riconosciuto che il recentissimo
«collasso» della conferenza di Cancun non può essere imputato all’agricoltura,
ma alle regole «medievali» della Wto che hanno finito per accartocciarsi su se
stesse nel momento in cui all’ordine mondiale di Usa e Ue si è aggiunto un
altro soggetto portatore delle richieste e delle frustrazioni dei Paesi del
Terzo mondo.
Ma torniamo a Giavazzi e a
Galli della Loggia, tra gli editorialisti più stimati del Corriere della Sera,
che forse si sono fatti prendere la mano dai dati inconfutabili che denunciano
le gravi ingiustizie che dividono il Nord e il Sud del mondo. Ma non si può
dare la colpa di tutto questo agli agricoltori! Le lobby certamente difendono i
vantaggi acquisiti, e in questo sono sempre miopi, ma le misure a sostegno e a
difesa dell’agricoltura europea e americana sono il risultato delle politiche
di sviluppo messe in atto a vantaggio delle popolazioni e di tutti i settori
delle economie in fase di decollo industriale sia dei Paesi della vecchia
Europa che degli Stati Uniti d’America. Nessuno deve dimenticare che quella
politica che, come scrive Galli della Loggia, ha portato a conservare «inutili»
quintali di burro nei magazzini dell’Unione Europea e a «sbriciolare»
tonnellate di arance sotto i cingoli dei trattori, è stata un formidabile strumento
di coesione, che ha contribuito in misura determinante a far saltare i confini
tra i diversi Stati dell’Unione.
Ancora non si può dare la
colpa alla politica agricola degli Stati Uniti e dell’Europa di affamare il Sud
del mondo, senza ricordare le responsabilità della politica coloniale e
imperialista del passato, che non è stata voluta certamente solo dagli
agricoltori e che rappresenta ancora oggi la vera barriera tra Paesi ricchi e
Paesi poveri, soprattutto quando questi ultimi cominciano ad avere coscienza
della loro identità e dignità nazionale. Forse questa è la vera causa del
fallimento della conferenza di Cancun, dove per la prima volta i Paesi poveri
si sono presentati in forze in un gruppo a geometria e composizione variabile,
rendendo difficile la discussione e il confronto.
Bene fa Giavazzi a concludere
il suo editoriale ricordando la brutta fine fatta da 50.000 bambini del
Bangladesh quando, da un giorno all’altro, un solerte senatore americano bloccò
le importazioni delle magliette che essi producevano. Non si può essere dalla
parte di quelle lobby che vorrebbero che nulla cambiasse, quelle che oggi
affermano, quasi contente del fallimento della conferenza di Cancun, «meglio
nessun accordo che un cattivo accordo» (bisogna vedere per chi!), ma nemmeno si
può essere d’accordo con quelle «anime belle», come le chiama Giavazzi, che
vorrebbero far saltare subito il banco.
L’Ue ha dato prova di
saggezza con la recente riforma della pac e ha diritto di pretendere che sia
apprezzato il passo in avanti che ha fatto, perché non può e non deve
dimenticare i suoi agricoltori, che sono il risultato delle politiche che tutti
hanno voluto.
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